ANVGD_cover-post-no-img

I Segre Melzi, imprenditori tra 2 guerre (Il Piccolo 16 feb)

di PIETRO SPIRITO

Guido Segre non fu un ebreo fortunato. Anni dopo la sua morte il nipote giornalista Vittorio Dan Segre gli avrebbe dedicato più di un ricordo in un libro dal titolo contrario (”Un ebreo fortunato”), eppure la vita di questo imprenditore che rappresenta il capitolo triestino di una saga familiare antica – una saga che dalla Spagna del Cinquecento attraverso la Torino sabauda arriva fino all’odierno Israele -, fu segnata dal peggior destino possa capitare a un uomo: la negazione della sua identità, l’umiliazione del non riconoscimento delle proprie conquiste, morali prima ancora che materiali. Guido Segre aveva lottato per l’Italia, e l’Italia lo aveva abbandonato. Aveva creduto nel fascismo, e il fascismo lo aveva tradito. Aveva scommesso su potere e ricchezza, e potere e ricchezza non gli erano serviti. Nelle discendenze di una ricca famiglia ebraica fu quello che, alla fine, pagò forse più degli altri il prezzo di chi – a dispetto di ogni potere – rimase stritolato dagli ingranaggi della Storia.

Come altre saghe familiari ebraiche, anche questa inizia nel 1492, l’anno in cui Colombo scopre il Nuovo Mondo, quando Isabella la Cattolica caccia gli ebrei dalla Spagna e dall’Italia meridionale. Molti sefarditi si rifugiano nelle città-stato nel settentrione della penisola, e fra questi ci sono gli Ovazza, originari della cittadina spagnola di Ovadia, che trovano asilo nel Ducato di Savoia. Il piccolo regno accoglie a braccia aperte i nuovi mercanti e banchieri, utili ad alimentare commerci e finanziare campagne militari.

Ma l’antisemitismo è un vento che non smette di soffiare, e nel 1679 il Piemonte cede al volere del Papa aprendo un ghetto a Torino. Dura meno di due secoli: a metà Ottocento la monarchia piemontese in corsa verso il tricolore abbatte il ghetto e appoggia in pieno, con decreto, l’emancipazione ebraica. Per i discendenti di Abramo unità nazionale e libertà diventano sinonimi, là dove l’esercito piemontese trionfa gli ebrei ottengono piena uguaglianza. Come molte altre famiglie semite anche gli Ovazza seguono in battaglia Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, raccolgono fondi per i Mille di Garibaldi, arrivano pronti all’appuntamento con il passaggio da un’economia feudale a quella capitalista. Quando si realizza il sogno di un’Italia unita uno degli esponenti più intrapredenti degli Ovazza, Vitta, realizza il suo sogno di libertà: nato povero nel ghetto di Torino, quando morirà sarà uno degli uomini più ricchi e rispettati della città.

La discendenza di Vitta continua sulla stessa strada: il figlio Ernesto veste la divisa da ufficiale dell’esercito italiano e con lui i figli Alfredo, Vittorio ed Ettore. La figlia di Vitta, Enrichetta, sposa invece Vittorio Emanuele Segre, amministratore delegato della banca degli Ovazza. Dalla loro unione nascono Arturo, Guido e Ada. Arturo studia legge, diventa avvocato e poi sindaco del Comune di Govone: il più giovane sindaco dell’Italia di allora. Dal suo matrimonio con Tina Mimigliano, rampolla di una delle più famose famiglie ebree dell’Alta Italia, nasceranno Dedè, poi sposata a Lino Quattrocchi, e Vittorio Dan Segre, giornalista e docente universitario emigrato dal ’39 in Palestina e sposato con Rosetta Balducco.

Nato a Torino nel 1881, Guido Segre dopo la prematura morte del padre Vittorio Emanuele va a studiare in Germania, e quando torna in Piemonte, poco più che ventenne, viene assunto prima al Credito italiano, poi alla Fiat, dove diventa direttore amministrativo e quindi vicedirettore. Allo scoppio della Prima guerra mondiale rifiuta l’esonero che gli era dovuto per la sua carica alla Fiat e parte per il fronte con il grado di tenente di complemento del Genio. Combatte gli austriaci sul fronte dell’Isonzo, colleziona medaglie una dietro l’altra e quando l’Impero è sconfitto l’ormai tenente colonnello Guido Segre entra vittorioso a Trieste al fianco del generale Carlo Petitti di Roreto.

Nella Trieste messa in ginocchio dalla guerra, Guido occupa il posto-chiave ai vertici all’Ufficio Affari Economici del Governatorato, nelle cui stanze passa il futuro economico della città. Futuro non facile, visto da ex ricchissimo emporio dell’Impero, Trieste deve ora dimostrare di poter dare un valido apporto al resto dell’Italia che tanto ha penato per averla. Segre è l’uomo giusto al posto giusto: con abile manovra diplomatico-finanziaria realizza un’operazione geniale, assicurando a Trieste il recupero di obbligazioni e titoli creditizi che giacciono nelle principali banche austriache, favorendo inoltre il concordato tra la Banca commerciale triestina e l’austriaca Credit Anstalt. Non è l’unica alleanza che conduce con l’ex nemico di trincea: tra alcuni anni Guido sposerà proprio un’austriaca, Gabriella Anna Metz, cattolica, conosciuta a Portorose dove la giovane gestisce una boutique.

Quando arriva il momento del congedo dall’esercito Guido non ci pensa nemmeno a tornare a Torino. In Trieste vede straordinarie opportunità di crescita, per lui e per la città, e si butta a capofitto nell’avventura. In poco tempo il suo nome è ovunque. È nel consiglio d’amministrazione della Banca Commerciale Triestina, rivela le azioni dello Jutificio e del Pastifcio Triestino, aziende che si aggiungono alla sua già lunga collezione: il Pastificio moderno a Zara, un altro pastificio a Milano, l’Amideria Chiozza, un’altra Amideria a Danzica, in Polonia, un catenificio a Lecco e il complesso delle Acciaierie Weissenfels a Fusine. Nel volgere di pochi lustri Guido Segre sarà, fra l’altro, presidente della Direzione di Borsa, delle Officine Navali Triestine, dell’Ampelea, società di distillazione e d’industrie chimiche, dell’Arsa, la società carbonifera in Istria, del Sindacato Industrie estrattive per le Province di Trieste e di Pola e dalla Camera di commercio italo-ungherese.

Come il fratello Arturo, nella scia della tradizione nazionalista e interventista della sua famiglia, Guido è anche un convinto fascista della prima ora (tesserato nel ’22), e nutre, ricambiato, enorme stima e fiducia nei riguardi di Mussolini. L’imprenditore non è certo l’unico ebreo in Italia ad essere iscritto al partito fascista, ma sicuramente è uno dei più vicini al duce, che gli affida incarichi delicati e importanti.

Nel 1930 Guido Segre sposa con rito cattolico Gabriella Anna Metz. A officiare il rito è il vescovo di Trieste Luigi Fogar, che allaccia uno stretto legame di amicizia con i Segre (sarà lui, anni dopo, a celebrare a Roma il matrimonio tra la figlia Etta e il marchese Alberto Carignani di Novoli). E sarà proprio l’amicizia con il vescovo Fogar a procurare i primi guai a Guido Segre. Quando nel ’34 Fogar, deciso difensore degli sloveni, viene accusato di essere un antinazionalista e antifascista, Guido Segre scende in campo in sua difesa, attirandosi critiche e antipatie. Quattro anni dopo, alla proclamazione delle leggi razziali, tutto ciò non sarà dimenticato. Guido, pur essendo sempre stato esponente dell’ebraismo laico non osservante di Trieste (a differenza ad esempio degli Stock), pur essendosi convertito al cattolicesimo, pur avendo italianizzato il cognome della moglie Metz in Melzi, finisce nel vortice della persecuzione razziale. In breve viene allontanato da tutto: cariche, prestigio, potere. Invano implora di essere ”discriminato”, vale a dire – con curiosa inversione del senso comune del termine – riottenere l’equiparazione ai cittadini italiani non-ebrei. Invano bussa alla porta di Mussolini, che non si fa più trovare. Invano si umilia davanti al governo fascista e ai suoi vari attaché, arrivando persino a rinunciare al suo cognome, Segre, stabilendo per via legale che i figli Etta e Carlo portino quello della moglie, Melzi. Invano si affida alle vecchie amicizie influenti, come quella, inossidabile, con Rino Alessi, direttore del quotidiano ”Il Piccolo”. Guido Segre è un ebreo, e a Trieste non deve contare più nulla. Per un nazionalista come lui, un eroe del Carso, un uomo abituato a combattere in nome dell’Italia, ma anche a credere nella libertà dell’azione e che tanto ha fatto per Trieste e in nome di Trieste, è un colpo fortissimo.

«Era distrutto, privato della sua identità e della sua dignità», racconta la figlia Etta Carignani che ha dedicato al padre il libro ”Un imprenditore tra due guerre” (Edizioni Lint, a cura di Patrizia Grandis). «Allo scoppio della guerra – continua Etta – ce ne andammo da Trieste, e ci rifugiammo prima a Fusine, poi a Roma, con documenti e nomi falsi». Distrutto nel corpo e nell’animo, ammalato di angina pectoris, con il falso nome di Giovanni Fabbri, Guido trova rifugio in Vaticano, sotto la fragile protezione di Pio XII. Farà in tempo a vedere gli alleati entrare nella Roma liberata, ma non potrà tornare a Trieste: muore il 12 aprile 1945. Fra le truppe alleate dell’Ottava armata, che risalgono la Penisola, nelle fila della Brigata Ebraica (quella cui si è liberamente ispirato Tarantino per il suo film ”Bastardi senza gloria”) c’è il nipote di Guido, Vittorio Dan Segre, figlio di Arturo, che oggi vive in Israele.

Tornati nella villa di via Murat, sequestrata dalle Ss durante la guerra e semidistrutta dai bombardamenti, Gabriella ”Ella” Melzi con i figli Etta e Carlo Emanuele riprendono le redini di ciò che resta dell’impero di Guido Segre. Ella si dimostra una capitana d’impresa ante litteram, e rimette in piedi quanto possibile del patrimonio e delle aziende. In particolare con il figlio Carlo Melzi assume la direzione delle Acciaierie Weissenfels (oggi passate ad imprenditori austriaci). Carlo in seguito affiancherà al mestiere di industriale quello di editore acquistando i quotidiani ”Messaggero Veneto” e ”Il Piccolo”. Morirà nell’agosto del 2000 senza lasciare eredi. Oggi le memorie della saga dei Segre Melzi sono custodite e coltivate da Etta Carignani, dal figlio Guido e dai nipoti Gabriella, Gregorio e Manfredi.

0 Condivisioni

Scopri i nostri Podcast

Scopri le storie dei grandi campioni Giuliano Dalmati e le relazioni politico-culturali tra l’Italia e gli Stati rivieraschi dell’Adriatico attraverso i nostri podcast.