LETTERE
Da Italiano d’Istria, quale orgogliosamente sono, non posso fare a meno di scriverle, in quanto in questi giorni particolari tornano a sanguinare vecchie ferite, che da oltre 60 anni tormentano noi giuliano-dalmati e delle cui dolorose vicende i nostri connazionali conoscono ben poco, ecco, data la complessità della vicenda crea confusione e ne alimenta la disinformazione.
Desidero poter manifestare il mio disappunto, nonché il mio rammarico nel veder riportato sulle nostre cartine geografiche, carte nautiche, guide turistiche, opuscoli vari, ecc. ecc. relativi all’Istria e alla Dalmazia, che i nomi delle località costiere non sono riportati secondo il toponimo attestato nella nostra lingua, bensì nelle forme slave, che Slovenia e Croazia hanno adattato ai nomi storici di quei luoghi (per altro nostri da antica memoria). Luoghi, i cui nomi originali, non vennero alterati, ne dal potente Napoleone ne dagli arcigni Asburgo, a seguito della caduta della «Serenissima». Che lo facciano gli slavi non mi meraviglia, gli slavi dicono e scrivono Trst, Gorica e non dicono mai Trieste, Gorizia, e così gli inglesi, francesi, tedeschi. La particolare anomalia per la quale mi dolgo sta nel fatto che questa regola di uso comune è osservata sempre anche dagli italiani, tranne quando si tratta dei nomi delle località dell’Istria e della Dalmazia.
Infatti, i nostri connazionali vacanzieri, solitamente riportano ciò che le guide turistiche dicono e cioè (Porec, Malilosini, Cres, Krk) eccetera. Ora mi domando, come mai un turista italiano, che abbia un minimo d’informazione culturale, possa soggiornare a Parenzo, toponimo di radice evidentemente nostrana, camminare tra calli, palazzi, case e campielli d’impronta veneziana, sentir parlare ancora (per poco) il dialetto istro-veneto, ammirare la bella basilica e poi tornare a casa e dire «vedessi come è caratteristico Porec». Questo accade non solo perché il turista non ha una adeguata cultura storica, ma soprattutto perciò che apprende dalle guide turistiche ed opuscoli vari pubblicati in Italia dove si scrive che Piran è la città natale del celebre musicista Tartini, e che Kofer è quella del famoso lettore rinascimentale Vittorio Carpaccio.
Nelle stesse pubblicazioni poi si trovano spesso informazioni grossolane o false delle vicende storiche di quelle nobili terre ed omissioni di comando su quelle più recenti e tragiche (vedi anche i testi scolastici).
In Europa, nessuno fa così. Infatti, è certamente impossibile che i tedeschi chiamino Koenisberg, già capoluogo della Prussia orientale, con il nuovo russo di "Kaliningrad" o che i greci parlano di Snirne, che fu greca per molti secoli, usando il nome turco di "Jamir". Il fatto è che tra un paio di decenni, quando anche l’ultima generazione di esuli avrà raggiunto i propri genitori, non ci sarà più chi parla, scrive, protesta e si prende a cuore queste cose. E non ci saranno più Capodistria, Cittanova, Parenzo, ecc. ecc., nomi a cui noi continuiamo a restare aggrappati con tutti i nostri ricordi. Ci saranno solo Koper, Novigrad, Porec, che nel frattempo avranno anche mutato aspetto, se continuerà lo scempio urbanistico. Vada per la nostra nobile terra, che davanti ci hanno costretto a lasciare e nulla è stato fatto per rivendicarne l’appartenenza, ma la storia no! Il passato non possiamo lasciarci scippare anche quello, non possiamo permettere che s’impossessino della nostra arte, della nostra culturale, per poi sfacciatamente spacciarle per le loro, sarebbe una grande offesa per noi stessi come popolo, ma soprattutto rinnegheremmo coloro i quali con laboriosità ed ingegno hanno saputo realizzare, conservare tramandare per secoli e secoli autentiche meraviglie
Luciano Toncetti
esule da Pola