di Dino Saffi
Lavori di conservazione sì, restauro no. La differenza tra questi due concetti appare "sottile", forse difficile da cogliere, eppure indica in maniera eloquente il rapporto dell'attuale élite dalmata verso il passato della regione. Stiamo parlando del caso del bassorilievo del Leone marciano, incastonato nel bastione della Cittadella a Zara, nelle immediate vicinanze della Fossa. La ragione che spinge a compiere simili "capriole dialettiche" la si evince alla perfezione dalle parole del sindaco zaratino, Zvonimir Vrancic: "Ogniqualvolta a Zara si menziona il restauro dei leoni, si risvegliano alcune associazioni storiche".
E la vicenda è chiaramente una di quelle che fa riandare con la memoria alla storia, in questo caso alla triste sorte toccata al simbolo della Serenissima al momento della caduta della Repubblica di Venezia e che si ripetè in terra dalmata nella prima metà del Novecento.
RISPETTATO E TEMUTO L'emblema leonino, allo stesso tempo rassicurante ed ammonitore, ha accompagnato per secoli la Serenissima nella felice ed infausta sorte. Rispettato, venerato e temuto nel periodo favorevole dell'espansione commerciale e territoriale nelle isole greche, sulle coste dalmate e in Terraferma; dileggiato e profanato, come spesso avviene nel cambio dei regimi, nel lungo, inesorabile riflusso, seguito alla caduta definitiva della Serenissima il 16 maggio 1797.
Il leone divenne emblema religioso e politico di Venezia dal XIII secolo. Per affermarsi pienamente in età gotica ed ancor più in epoca rinascimentale.
Dai leoni marciani più antichi a quelli più recenti è trascorso quasi un millennio e i modi di esecuzione hanno risentito degli stili dell'epoca in cui sono eseguiti, anche le scritte, a parte quella consueta Pax tibi Marce evangelista meus, hanno risentito talora delle vicende o dei tempi.
Numerose le interpretazioni possibili riguardo la combinazione tra spada e libro: il solo libro aperto è ritenuto simbolo della sovranità dello Stato (numerose le raffigurazioni dei dogi inginocchiati davanti a tale raffigurazione), il solo libro chiuso è invece ritenuto simbolo della sovranità delegata e quindi delle pubbliche magistrature, il libro aperto e la spada a terra non visibile sono ritenuti simbolo della condizione di pace per la Serenissima.
La scritta classica che compare sul libro aperto recita: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS, con l'aggiunta talvolta in calce: JESUS DIXIT. Molte le scritte alternative che comparivano comunque specialmente nelle città della Dalmazia e nelle isole dell'Egeo come a Zara: Pax tibi semper quia dedisti pacem nobis, Pace sempre a te che desti pace a noi; oppure a Corfu: Sub umbra alarum tuarum prote-ge nos, Sotto l'ombra delle tue ali proteggi noi. A Genova su un leone preda di guerra dall'Istria: Marcum ecce ego mitto angelus meum ante faciam tuam qui preparabit viam tuam ante te, Marco ecco mando il mio angelo dinnanzi a te per prepararti la strada. A Trau: Iniusti pu-nirentur et semen impiorum peribit, gli ingiusti saranno puniti e il seme degli empi perirà.
CANCELLARE LA MEMORIA La dimostrazione dell'importanza di questo simbolo sta nel fatto che i nemici della Repubblica di Venezia in varie epoche cercarono di cancellare la memoria della Serenissima distruggendone i simboli. Le prime distruzioni dei simboli marciani avvennero all'epoca della Lega di Cambrai, 1509-1517. Al grido di: "Mora San Marco con tute le forze, San Marco impicà" vennero abbattutti numerosi leoni ai confini della Repubblica.
La seconda e più grave devastazione avvenne durante la dominazione francese, breve ma capillare. Durante tutto il 1797 su ordine preciso: "Far abbattere in tutte le città di terraferma i leoni di San Marco", vennero scalpellati oltre mille simboli marciani in tutto il territorio con esclusione dell'Istria. Beneto Giraldon era il nome del capo scalpellino incaricato di procedere al disfacimento. Fortunatamente l'Austria non continuò la distruzione dei leoni, ma in qualche caso permise la loro ricollocazione, visto che politicamente l'epopea veneziana era ormai un ricordo. Altre distruzioni si verificarono in tempi più recenti: in particolare in Dalmazia negli Anni Venti e Trenta.
FURORE ICONOCLASTA
Del furore iconoclasta furono vittima soprattutto i marmorei leoni marciani collocati sugli edifici pubblici e militari del territorio. La furia distruttrice, comunque, non ha cancellato del tutto i leoni marciani: rimangono ancora sul territorio di quelli che furono "lo stato da terra" e "lo stato da mar" numerosissimi simboli. Oggi i leoni alati resistono impassibili all'indifferenza degli uomini e all'ineluttabilità del tempo che passa. Possono essere considerati resti di un periodo sicuramente all'insegna della tolleranza, in quanto Venezia era rispettosa delle autonomie e degli usi civici locali.
Ma soprattutto dopo la fine della Prima guerra mondiale e la caduta dell'Austria-Ungheria essi sono stati spesso e volentieri considerati simboli di italianità da cancellare. Un modo per rimuovere la memoria non soltanto della Serenissima, ma soprattutto dei residui della presenza culturale italiana in Dalmazia.
LA RESA DEI CONTI A PARTIRE DAL 1921 La resa dei conti con i leoni alati ebbe inizio nel 1921 dopo il ritiro delle truppe italiane da gran parte del territorio dalmata. Che il clima non fosse propizio per la salvaguardia dei monumenti del passato e che la furia iconoclasta si potesse abbattere in quel frangente storico sui simboli di San Marco, era ben chiaro anche al responsabile della sovrintendenza alle belle arti regionali, don Frane Bulic, il quale già il 15 aprile 1921 in una missiva inviata al Consiglio nazionale di Curzola aveva espresso il timore che "dopo la partenza degli italiani" si potesse giungere "nell'atmosfera di entusiasmo creatasi", alla distruzione dei monumenti degli "ex Stati e in particolare del governo veneziano in Dalmazia". Pertanto don Frane Bulic aveva chiesto alle autorità competenti di impedire che si verificassero atti vandalici. La sovrintendenza anzi aveva inviato una circolare in cui aveva invitato a cessare di distruggere quelli che erano "monumenti storici". Invano. Subito dopo il ritiro italiano, ad esempio, alcuni leoni marciani erano stati danneggiati a Curzola da abitanti della località di Racisce.
Ma i momenti peggiori dovevano ancora venire. A suscitare grande scalpore nell'opinione pubblica di allora era stato l'incidente del primo dicembre 1932, quando a Traù (Trogir) gli appartenenti al Sokol avevano danneggiato o distrutto addirittura otto leoni marciani. Ma già prima, nel 1930, il leone alato era stato rimosso a Veglia.
Il periodo più tragico per il vecchio simbolo è stato quello successivo alla capitolazione dell'Italia, ovvero all'8 settembre 1943, quando sono stati distrutti o danneggiati parecchi leoni. E non soltanto da parte delle autorità comuniste, ma anche da parte di quelle dello Stato indipendente croato (NDH) di Ante Pavelic. Le autorità dell'NDH hanno sistematicamente rimosso a Spalato i leoni nell'autunno del 1943, dopo diversi articoli pubblicati sul quotidiano locale "Novo Doba". In uno di questi articoli si rilevava, ad esempio: "Non siamo in linea di principio per la distruzione dei monumento storici che hanno un qualche valore artistico. Comunque siamo dell'opinione che alcuni simboli pubblici dello straniero vadano rimossi dalla città". E questi simboli sarebbero "i vecchi leoni veneziani" che "non hanno alcun valore artistico". Dopo il completamento dell'opera di rimozione, alla fine di novembre, la municipalità spalatina era stata lodata per "aver operato bene, per aver fatto rimuovere tutti quei segni stranieri di schiavitù dalle mura della nostra città croata di Spalato".
ECCESSO DI ZELO Anche nelle zone sotto il controllo partigiano si erano verificati incidenti, come testimonia in uno scritto l'ex capo della missione militare alleata presso il Comando supremo dell'Esercito popolare di Liberazione, Fitzroy Maclean. Egli ricorda di essersi recato in visita a Curzola in un "vecchio palazzo veneziano nel quale si erano insediati i nuovi padroni della città… Sul portone c'era una statua di San Marco priva della testa, che probabilmente era stata decapitata da qualche partigiano troppo zelante". Nel dopoguerra va menzionato il periodo della crisi di Trieste della fine del 1953, quando in tutta la ex Jugoslavia si erano svolte manifestazioni di protesta contro il passaggio del capoluogo giuliano sotto l'amministrazione italiana. In quel frangente a Zara erano stati danneggiati alcuni leoni. Tra di essi c'era anche quello sulla Porta di Terraferma, che era riuscito a sopravvivere persino ai pesanti bombardamenti alleati della città nella Seconda guerra mondiale.
Il resto è storia dei nostri giorni. Quel passato burrascoso è alle nostre spalle. Anche se il suo peso si fa sentire, comunque, l'impressione è che a Zara e in genere in Croazia, cominci a maturare la consapevolezza della necessità di tutelare i simboli storici, senza snaturare il loro reale significato con arbitrarie interpretazioni storiche. Se i politici vanno con i piedi di piombo, il clima che traspare dagli articoli di stampa è molto più propizio. Così il 13 gennaio 2005 tutti i più importanti mass media croati hanno riportato la notizia della "riemersione" dalle acque fangose della Fossa di Traù di un leone alato danneggiato, uno dei tanti che una volta ornavano questa città dalmata.
LA «PRUDENZA» DEL PRIMO CITTADINO E nella vicenda zaratina pure i toni sono stati sfumati, se non di apertura. Certo gli esperti della sovrintendenza hanno respinto la proposta di restauro firmata dalla locale Comunità degli italiani (da realizzarsi con il cofinanziamento della Regione Veneto, ovvero con i fondi della legge sulla conservazione e il recupero del patrimonio veneto) , affermando che "la ricostruzione è un'operazione impossibile da compiere per la mancanza dei disegni originali e di fotografie del bassorilievo, scattate prima del suo danneggiamento". Inoltre una ricostruzione non sarebbe giustificata nemmeno dalla "qualità artistica del bassorilievo". Gli esperti zaratini hanno comunque sottolineato che il reperto va "analizzato, ripulito e conservato". E il loro giudizio è stato fatto proprio dal "prudente" sindaco Zvonimir Vrancic, il quale probabilmente per evitare le "associazioni storiche" menzionate in precedenza, nella sua delibera non parla in alcun posto del leone, ma ricorre alla circonlocuzione "rilievo di pietra, simbolo di San Marco".
La Comunità degli Italiani, in ogni caso è soddisfatta già per la decisione di procedere comunque alla conservazione del bassorilievo, che verrà cofinanziata attingendo ai fondi veneti. La politica dei piccoli passi è sicuramente la più saggia, tenendo conto del fatto che le autorità, chiaramente, prima di muoversi, vogliono tastare gli umori dell'opinione pubblica. Che a giudicare anche dai riscontri sulla stampa locale non appaiono di certo negativi, anzi.