di MAURO MANZIN
TRIESTE Si possono fare vertici come quello di Brdo pri Kranju, se ne possono preventivare altri come quello di Sarajevo, ospiti la Russia e gli Stati Uniti, ma nei Balcani occidentali il problema principale e, finora, innamovibile ha un solo nome: Kosovo.
Lo ha ribadito con un complice ”diplomatichese” lo stesso presidente serbo, Boris Tadic, al vicesegretario di Stato Usa, James Steinberg, in visita a Belgrado. «Il Kosovo è Serbia e tale lo resterà per sempre». Punto e basta. Resta poi anche il ”fantasma” della Bosnia-Erzegovina, dove sarà molto difficile che si riescano a fare quelle riforme istituzionali auspicate sia dagli Usa che dall’Unione europea per potare dal Parlamento il cosiddetto ”voto etnico” (serbo, croato e musulmano) che di fatto rende impossibile un regolare funzionamento delle istituzioni statali bosniache, con un intasamento che vede ancora nell’Alto rappresentate Onu l’unica garanzia di unità.
James Steinberg ha ribadito che gli Stati Uniti appoggiano l’ingresso della Serbia nell’Unione europea e nell’Organizzazione mondiale del commercio. Ha altresì affermato che la collaborazione nel campo della difesa e nella lotta al crimine organizzato, nonché al terrorismo procede secondo standard molto buoni, ma ha altresì ringraziato Belgrado per l’impegno che sta profondendo per cercare di risolvere i problemi a livello regionale (è recente la proposta di legge del Parlamento serbo per la tutela dell’etnia Rom). L’amministrazione americana a Washington, ha sostenuto ancora Steinberg, è pronta a collaborare con Belgrado per rinforzare la stabilità nell’area dei Balcani occidentali ma ha anche affermato che, al contrario della Serbia, gli Stati Uniti puntano a una soluzione diplomatica al problema del Kosovo che possa essere soddisfaciente sia per la parte serba che per quella kosovara.
Tadic non ha avuto difficoltà nel controbattere che la Serbia è pronta a collaborare non solo con gli Stati Uniti ma con tutti i Paesi del mondo per riportare la stabilità nella regione , ma ha altresì sostenuto che «sussistono delle linee rosse che la Serbia non oltrepasserà. Una di queste linee rosse è che Belgrado non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo». Più chiaro di così! Anche per la Bosnia-Erzegovina esiste un’altra linea rossa: ossia non ci deve essere alcuna divisione federale o federalista della Bosnia che deve rimanere così come è stato sancito a Dayton nel 1995». Due gatte da pelare non da poco, vuoi per l’amministrazione americana, vuoi per l’Unione europea.
Anche perché la missione congiunta di Steinberg con il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, presidente di turno dell’Ue, proprio in Bosnia-Erzegovina non è stata proproio così soddisfaciente. Se Moratinos ha chiesto a Sarajevo una riforma istituzionale che renda la Bosnia stessa pronta a un dialogo con l’Unione euopea per iniziare la fase di avvicinamento, alla sua richiesta non sono mancati i ”se” e i ”ma”, oltre al deciso ”no” del presidente della Republika Srpska Milorad Dodik il quale ha apertamente sostenuto che i serbi non voteranno nè tantomeno sosterranno alcun cambiamento istituzionale in Bosnia che possa andare a detrimento dell’indipendenza della Republika srpska stessa.
Insomma, il nodo, invece, di sciogliersi, si sta vieppiù ingrarbugliando mentre sul tutto c’è la netta sensazione di una sottovalutazione dell’Unione europea della situazione che si è creata.