Quando la cronaca affonda le sue radici nella storia. Otto famiglie di superstiti della tragedia delle foibe, chiedono che venga rispettata la legge. Chiedono di poter entrare in possesso delle loro case, che abitano da quarant'anni.
A dirla tutta la questione inizia all'indomani della fine della seconda guerra mondiale. L'Italia deve pagare alla Jugoslavia di Tito i danni di guerra. E per farlo cede al dittatore comunista tutti quei territori compresi tra il golfo Quarnaro e la Dalmazia. Per la storiografia ufficiale tutto questo fu considerato un “risarcimento di guerra”. Per la maggioranza italiana che viveva in quelle zone fu però l'inizio di una vera e propria diaspora. È proprio a questo punto che inizia anche la vicenda delle famiglie di via della Robbia. «Non avevamo scelta o si scappava o si finiva nelle foibe, per il semplice fatto di essere italiani». A parlare è la signora Maddalena Zanello, 80enne e residente da 40 nella sua casa monzese.
Particolare non da poco visto che come lei sono rimasti, dalla fine della guerra ad oggi altre sette famiglie che dicono: «Questa casa è nostra e non ce la vogliono dare – spiega il signor Vincenzo Pavich –. Noi siamo profughi di guerra. Lo stato ci ha costruito queste case come risarcimento per tutto quello che abbiamo perso in Istria». Secondo la legge, gli abitanti di via della Robbia avrebbero dovuto entrare in possesso delle proprie case già dopo dieci anni di affitto sociale. «È una cosa inconcepibile – dice invece il signor Ariano Paulovich – con più di quarant'anni di affitto abbiamo ripagato ampiamente il costo degli immobili. La legge lo dice chiaro e tondo: le case devono diventare nostre».
Purtroppo però in questi casi il condizionale è d'obbligo. Infatti la politica, a più riprese, non ha saputo dare una risposta definitiva alle richieste di queste persone: «Abbiamo incontrato gli assessori competenti. Mangone, prima. Antonicelli, poi. Ma niente, nulla di fatto – insiste Paulovich – Dai grandi saluti dei primi incontri, non si è mosso alcunché». Anzi per la verità la risposta che i cittadini si sono senti dare ha suonato più o meno così, come conferma lo stesso Fabio De Faveri: «Non possiamo farci niente, è la regione che deve decidere se possiamo darvi le case».
E al danno si è aggiunta anche la beffa: l'affitto. Stando alle carte che sono in mano agli inquilini di via della Robbia, il nuovo affitto richiesto ha delle caratteristiche ben precise. «In teoria dovrebbe essere sociale, con un canone fisso. Invece da quest'anno ci siamo visti recapitare avvisi di pagamento, con i simboli del Comune, da oltre 400 euro».
Lorenzo Merignati su Il Cittadino di Monza e Brianza del 15 aprile 2010
(I profughi giuliano-dalmati di Via Luca della Robbia)