di Milan Rakovac
“Che cos’è l’Italia? È ‘un Paese di cortigiani’. È ‘un Paese di servi’. È ‘un popolo organicamente anarchico, corrotto, servile’. Avrete notato le virgolette: le affermazioni non sono mie. Sono state coniate, nell’ordine, da Piero Gobetti, benemerito della patria; da Anna Kulicioff, donna politica e compagna di Turati; da Giusto Fortunato, illuminato uomo politico e studioso del Meridione”, scrive Piero Ottone.
Queste stesse affermazioni, ma senza citare alcuna autorità, le faccio io parlando della Croazia, e di altri Paesi simili. Ebbene, se le cose stanno così, abbiamo individuato un’ulteriore ragione che parla a favore di una sinergia ancora più stretta fra due popoli propensi alla “bella vita”. Proprio come avviene quando gli Italiani vengono a trascorrere le vacanze estive in Dalmazia e sulle Dolomiti, dove i Croati vanno a sciare.
Ma allora ‘sta beata aleansa adriatica, se farà o no se farà? Ma savè voi, cari mii, che el contratto italo-croato ancora no’l xe firmado, e el iera preparado ancora quando Ruggiero (una persona integralissima!) el iera alla Farnesina. E no’l xe firmado fin’oggidi, passadi xe anni, solo perché xe scoppià quel incidente quando el presidente della Repubblica italiana voleva decorar el ultimo sindaco Repubblichino de Zara.
E ‘sta storia la xe oramai propio viecia-stara, diria i nostri Bumbari, ma questo documento che fissa un’amicizia storica, ancora resta in aria. Perché? Perché ne qua ne là no xe più la stessa gente nelle nomenclature nassionali?
Penso che non sia questo il nocciolo della questione, penso, invece, che anche questo famoso protocollo di amicizia e di collaborazione fosse semplicemente un atto di cortesia protocollare, il logico prodotto di un’epoca all’insegna delle attività corrette, ma superficiali e non un qualcosa di preparato nel modo giusto con tanto di coinvolgimento non soltanto di un paio di burocrati, bensì delle rispettive popolazioni. E queste due opinioni pubbliche, quella croata e quella italiana, per dirla in parole povere, né si conoscono né nutrono interesse l’una per l’altra. E quel poco che sanno si riduce da una parte a conoscere il mito di Veli Jože, dei galeotti e delle conquiste italiane; e dall’altra il mito dei barbari e degli infoibatori, dei conquistatori dell’Istria e della Dalmazia italiane. Ovviamente, ci sono anche dei miti positivi; due per la precisione: in Istria e Dalmazia se magna ben, se naviga ben fra le isole, e se tuffa nel mar limpido e turchese. Da parte croata, rimangono, invece, Sua Maestà la
Scarpa italiana, San Remo, e l’Inter (o nel mio caso la Juve).
Non va dimenticato nemmeno il legame rappresentato dalla mentalità mediterranea, che sul versante orientale dell’Adriatico è condita con il retrogusto che contraddistingue i nostri territori: le spezie balcaniche. E poi ad unirci ci sono anche il rinascimento e l’esperienza della Serenissima, il mare e la lingua franca che continua a vivere lungo le coste – una variante del dialetto veneto, ma anche i vari termini dialettali italiani entrati a pieno titolo nei dialetti croati e sloveni delle località costiere (ma anche in tanti altri che si possono sentire lungo le coste del Mediterraneo!). Infine, non va dimenticato l’importantissima alleanza di matrice antifascista nata sulle basi poste dalla convivenza veneta, e va tenuto a mente anche l’umanesimo interculturale sui generis che non sono riusciti a intaccare nemmeno i vari nazionalismi locali tornati alla ribalta nel bel mezzo del percorso eurointegrativo!
Ma questi punti in comune che affondano le radici nella storia hanno poco a che vedere con questi giochetti post-most-moderni-global-neoliberali in atto lungo l’Adriatico. Della Repubblica di Venezia nessuno si ricorda più, l’antifascismo è stato demonizzato (su entrambe le sponde dell’Adriatico), e così al momento non abbiamo a che cosa richiamarci, a parte gli Italiani che vengono in Croazia e le nostre gite-shopping in Italia nel periodo dei saldi.
Camillo Benso di Cavour (con il quale ho tediato, oramai, anche i santi) ha cercato di programmare il gemellaggio tra i popoli dell’Adriatico, per puro e semplice interesse – che fino a prova contraria continua ad essere lo spiritus movens più efficace –, Miloš Minić e Aldo Moro (ovvero il ministro Mariano Rumor) avevano inaugurato una nuova alleanza; tutto quanto era avvenuto nel frattempo, ma anche dopo è contraddistinto con il nazional-egoismo di entrambe le sponde e, spesso, anche intriso di banali mitologie nazionali, revanscismi retorici e acidi sorrisi protocollari.
L’Italia, il nostro vicino più grande e più potente (by Drago Kraljević), dovrebbe accettare quello che è il suo interesse strategico, e la stessa cosa dovrebbe farla anche la Croazia; e sottolineo, si tratta di interessi che hanno moltissimi punti in comune.
“Migliorare l’Italia? Si apprezza di volta in volta la buona intenzione. Ma anche alla luce dei risultati che sono stati raggiunti vorrei dire: lasciamo stare. Accontentiamoci, ciascuno di noi, di migliorare noi stessi”… Questo messaggio un po’ “evangelistico” di Ottone è indubbiamente un invito ragionevole, ma non basta… Generalmente parlando, il degrado dell’essere umano, e della società, determinato dalla logica criptoliberale, provoca danni tremendi all’umanità. Combattere questa logica limitandosi a “migliorare noi stessi” non basta. Dobbiamo cercare di migliorare il sistema e la morale pubblica (il welfare, l’etica, l’organizzazione…).
E per quanto riguarda i rapporti adriatici mi sento di proporre il rinnovo del programma di Osimo del 1975: Zona franca sul Carso, allargata a tutto l’Alto Adriatico; Euroregione; Corridoi europei: Progetti energetici (Terminal GNL, termo centrali da Mestre a Fianona), Regolamentazione comune della pesca, dell’energia, della sicurezza, del turismo, della cantieristica, dei porti nell’Adriatico…
E a quel punto questi due popoli benevoli e gentili che vivono lungo le coste adriatiche potranno cominciare a dar forma al “sogno” di Cavour.