Dal 7 al 9 maggio si è tenuto a Bergamo l'annuale Raduno degli Alpini. Per celebrare l'evento vi proponiamo questa testimonianza pubblicata su L’Eco di Bergamo del 9 maggio 2010
Il ricordo della guerra
Quando i soldati ci hanno difeso dai partigiani titini
Spettabile redazione, ogni volta che vedo gli alpini o ne sento parlare dico fra me «Grazie alpini». Ci sono stati anni di silenzio in cui parlare di certi avvenimenti non era opportuno. E, ancora oggi il 25 aprile è occasione di scontri. Non si è ancora arrivati ad una pacificazione totale e alla serenità che ci dovrebbe consentire di sbandierare anche bandiere angloamericane e visitare il cimitero americano a Milano per chi è nei paraggi.
Vengo agli alpini. Sono profuga giuliana, proveniente da un paese della Slovenia, allora Italia, e sul confine con la Jugoslavia: Idria. A metà strada tra Gorizia e Lubiana. Importante per le miniere di mercurio. Dopo l'8 settembre 1943, si sa, nessuna indicazione sul da farsi. I partigiani titini cominciavano ad entrare in paese arma ti ed organizzati con l'unico intento di cacciare via gli italiani con qualsiasi mezzo. Non mi dilungo sulla storia ampiamente documentata e trasmessa anche dalla Rai qualche anno fa. Con bagaglio leggero e 4 ore di tempo per organizzarsi alle 16,30 del 10 settembre si mosse da Idria un corteo di circa 5.000 persone tra militari e civili diretto verso Gorizia.
Mio padre era commissario di pubblica sicurezza lì e dirigente del confine italo-jugoslavo. Dopo giorni e notti passate a cercare contatti, direttive ed informazioni, i militari decisero l'evacuazione. Si distrussero tutti i documenti e cifrari e si partì sotto una pioggia battente. Donne, vecchi, bambini ed ammalati sui mezzi disponibili, gli altri a piedi. Ai lati della colonna file di alpini a piedi che facevano da scorta e protezione (riuscirò ad incontrarne qualcuno?). Non tutti erano d'accordo su questa decisione, soprattutto gli alpin i che piuttosto che quella ritirata avrebbero voluto combattere e lo dicevano senza reticenze ai loro superiori. Ma la situazione territoriale era nelle mani dei superiori che avevano informazioni più dettagliate, ma non sempre esatte. Infatti durante il percorso che ci si auspicava privo di intoppi in quanto ci si ritirava in Italia, non pochi furono i posti di blocco dei partigiani titini.
E lì, grazie ad un lasciapassare che mio padre ebbe ad Idria da un capo partigiani che si comportò da persona prima che da partigiano (e qui sarebbe lungo raccontare come e perché) si riuscì a superare i posti di blocco a Godovici, Montenero, Aidussina. Il viaggio di 70 chilometri durò 22 ore sotto una pioggia battente. Ad ogni controllo, nonostante il lasciapassare, dato da chi probabilmente ne sapeva di più del territorio, venivamo derubati di automezzi, armi, viveri. I cani addestrati se ne andarono, come pure molti cavalli. Ad Aidussina doveva esserci un appuntamento con i «nostri», ma non c'erano. C'erano invece i partigiani.
Alle porte di Gorizia dove pensavamo di essere ormai al sicuro (alla questura di Gorizia in quei giorni sventolava la bandiera jugoslava) altra sosta, altra richiesta di armi. Fu la sosta più difficile, esasperante perché non si capiva se e quanto Gorizia potesse essere il posto «sicuro» come si sperava. E qui entrano in gioco gli alpini. Un reparto di alpini che nel frattempo ci aveva raggiunti, minacciò i partigiani di aprire il fuoco. Così ci lasciarono andare. Grazie Alpini!
Lettera firmata
(gli Alpini istriani, fiumani e dalmati sfilano in apertura del corteo del Raduno degli Alpini, tenutosi a Bergamo domenica 9 maggio – foto Stefano Bombardieri)