Giovedì 13 maggio – ore 20,45
Sala Bevilacqua, via Pace 10 – Brescia
La conferenza "Foibe ed esodo, memorie divise di una tragedia nazionale” è affidata allo storico triestino prof. Fulvio Salimbeni e allo scrittore croato dott. Milan Rakovac, membro del “Forum Tomizza”, una delle poche e più lucide voci in controtendenza rispetto alla retorica “patriottarda” e nazionalistica (e filo partigiana) che in Croazia e Slovenia domina sulla vicenda “foibe”.
Introduce l’incontro il dott. Valerio Di Donato (giornalista, redattore del "Giornale di Brescia" nel settore Interno/Estero, autore del libro "IstrianIeri. Storie di esilio", Liberedizioni, 2006), che così illustra l’iniziativa:
"La vicenda "foibe ed esodo" costituisce "una grande tragedia nazionale a lungo dimenticata, o negata, che solo l’istituzione del Giorno del Ricordo, in coincidenza del 10 febbraio, ha riportato all’attenzione pubblica.
Il tema è da sempre fonte di ricostruzioni contrastanti e di polemiche, spesso alimentate da interessi e criteri squisitamente politici. E’ mancata, finora, un’analisi veramente aperta, scevra da pregiudizi e calcoli opportunistici, in grado di portare al rispetto reciproco fra memorie divise, diverse, ma non inconciliabili. Quello di cui si avverte l’esigenza è un reale “contraddittorio” fra le parti in causa: l’elemento italiano, da una parte, e quello sloveno e croato (all’epoca “jugoslavo”) dall’altra. Per non dire delle differenti posizioni, spesso radicalmente contrapposte, che si registrano nel nostro Paese, a livello politico, culturale e storiografico.
Chi sono i responsabili dei massacri di migliaia (le cifre restano uno dei principali, ma non l’unico, “casus belli” in argomento) di italiani alla fine della Seconda guerra mondiale in Venezia Giulia e Dalmazia? I comunisti “slavi” assetati di vendetta dopo una sanguinosa guerra di resistenza, o non anche i fascisti italiani, con la loro dura politica snazionalizzatrice durante il Ventennio e le violenze perpetrate nel corso dell’occupazione della Jugoslavia dal 1941 all’8 settembre 1943? Erano davvero l’Istria, Fiume e Zara terre di “schiacciante maggioranza” e “univoca” cultura italiana, o non piuttosto un intreccio mistilingue e multietnico, dove certamente l’elemento italiano era prevalente numericamente e rivestiva un ruolo sociale e culturale preminente, nelle città del litorale adriatico, ma non nell’ampio entroterra contadino? Dunque, una terra di “frontiera”, complessa e affascinante, come Fulvio Tomizza, più di altri, seppe trasporre magistralmente in letteratura?
Perché e in che forme maturò la decisione della stragrande maggioranza della popolazione di ceppo italiano (dalle 250.000 alle 350.000 persone a seconda delle fonti) di abbandonare le loro case e i loro beni nell’ex Jugoslavia comunistizzata dalla vittoriosa guerra partigiana del maresciallo Tito, prendendo la via di un esilio doloroso e planetario (in Italia, in primo luogo, ma anche nelle Americhe, in Canada, in altri Paesi europei)? Fu, quella italiana, l’unica tragedia “nazionale” occorsa a un popolo “vinto”, o non piuttosto un capitolo (a noi giustamente molto caro) di una grande tragedia europea che coinvolse 15 milioni di persone (con due milioni di morti), in seguito allo smembramento del Terzo Reich e alla riconfigurazione dei confini statuali secondo la dottrina di Yalta?"
"IstrianIeri. Storie di esilio" di Valerio Di Donato.
Il 25 aprile 1945 non tutti gli italiani poterono salutare con sollievo l’avvenuta Liberazione del Paese dalle truppe nazifasciste, preludio del ritorno alla democrazia. Alle spalle di Trieste e Gorizia, in Istria, nella zona di Fiume e di Zara, iniziava infatti una nuova, drammatica, occupazione ad opera dei partigiani slavi del maresciallo Tito, ben decisi a inglobare quelle zone nella nascente Jugoslavia comunista. L’intento è quello di rendere l’"onore della memoria" a questi cittadini dimenticati raccontando la loro verità. Ma anche, contemporaneamente, di contribuire al superamento della rimozione di un capitolo cruciale della storia patria del Novecento, inquadrandolo nel più ampio contesto della geopolitica europea dell’epoca.