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22 mag – Fini: fratellanza popoli antidoto a violenza etnica

Tutto è cominciato da una domanda al liceo sulle vicende degli esuli dalmati, fiumani e istriani: "Erano tutti fascisti", rispose, sprezzante, l'insegnante di Jan Bernas. Ora quello studente, diventato giornalista e scrittore, vuole dare la sua risposta a quel punto interrogativo sui connazionali fuggiti dalle regioni diventate Croazia, oppure rimasti, e per decenni ignorati, da questa parte dell'Adriatico. E lo fa con il libro 'Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani', presentato il 21 maggio a Roma presso la Camera dei Deputati. Affiancato dal presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Lucio Toth, dal sottosegretario Roberto Menia e dall'onorevole Carlo Momai, Bernas – che da anni si occupa di Europa centro-orientale – ha dato spunto per un dibattito a tratti molto appassionato su un capitolo di storia a lungo tabù in Italia: foibe, violenze, lingua negata nei luoghi natii.

Nel libro, la cui prefazione è stata scritta da Walter Veltroni, Bernas raccoglie le testimonianze dei protagonisti dell'esodo istriano-dalmata alla fine della Seconda guerra mondiale, con testimonianze in prima persona di uno dei drammi più dolorosi avvenuti della nostra Storia, un esodo obbligato durante il quale più di 300mila persone (80-90% della popolazione italiana storicamente insediata in quelle zone) furono costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra per essere accolti in Italia tra diffidenza e indifferenza.

"L'intento è portare il lettore a vivere con gli occhi e il cuore le esperienze di queste persone", ha spiegato Bernas, "è raccontare la storia attraverso lo sguardo di chi ha sofferto".

"E' un discorso che va al di là delle vicende politiche: parla di sradicamento", ha sottolineato Toth, nato in Dalmazia, che denuncia un "buco ancora molto grave" nella cultura e nella memoria italiana.

Menia, invece, la prospettiva politica la rivendica: "Gli infoibatori erano sì croati, sloveni, ma anche italiani comunisti", dice, "io sono finito nell'Msi perchè c'era un partito comunista titoista".

Monai, dell'Idv, ha suggerito di cogliere un messaggio universale nella vicenda dei nostri connazionali diventati esuli o condannati a essere "i rimasti". E ha concretamente proposto di calendarizzare una delle questioni rimaste aperte, malgrado i molti tentativi parlamentari, quella degli indennizzi.

Molti ricordi, molte passioni, condivise da un folto gruppo di rappresentanti degli italiani nati in quelle terre, presenti al dibattito.

In un messaggio, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha esortato a "consolidare la memoria condivisa per diffondere quei valori di umanità, di dignità e di fratellanza tra i popoli che sono il vero antidoto alla violenza etnica, alla sopraffazione e alla perdita dell'identità". Perchè ricordare, aggiunge Fini, significa "trasmettere alle nuove generazioni il ripudio di ogni ideologia che annienta la dignità dell'uomo ed educarle al valore della libertà e della democrazia come principi fondamentali di una solidità identità nazionale, ispirata al pluralismo delle idee e delle cultura".

(APCOM)

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