Chi dimentica le colpe di quei sacerdoti zelanti al servizio di Tito
Non sarebbe ora di smetterla di affettare la storia prendendo solo i pezzi utili
alla propria tesi? E' ciò che ti domandi leggendo l'invettiva di Valter
Zupan, vescovo di Veglia (lui, da buon croato, direbbe «vescovo di
Krk») contro Tito, che ha accusato di avere causato «un milione e 129
mila morti». Un po' troppi anche per quanti hanno dedicato la vita a
studiare i crimini del comunismo e i famigerati campi di prigionia per
i dissidenti come Isola Calva, ma non importa. Non è la conta che qui
ci interessa. Ciò che colpisce, per chi conosce qualcosa della storia
dell'Istria e della Dalmazia, è il modo in cui il prelato affronta,
nell'intervista a Fausto Biloslavo del Giornale, il tema della cacciata
di 350 mila italiani: «Attorno a Tito hanno creato un mito, ma la
realtà era ben diversa. Ho detto che era sullo stesso percorso di
sangue di Hitler. Lo sanno gli italiani che sono scappati da queste
isole, a remi, spellandosi le mani. Perché lo hanno fatto se era tutto
idilliaco? ». Manca qualcosa: dov'erano i preti slavi, allora? Se lo
ricorda il vescovo, ad esempio, il memoriale inviato il 10 febbraio '46
da un gruppo di sacerdoti sloveni e croati alla Commissione alleata
delegata ai confini? Diceva: «Gli italiani non sono capaci di risolvere
la questione nazionale con spirito cristiano, perché sono per natura
portati a un'assimilazione violenta o artificiosa. Perciò hanno perso
il diritto di amministrare ancora queste terre». Quindi? «Il Litorale
tutto intero va annesso alla Jugoslavia Federativa».
E le polemiche intorno al ruolo di irredentista di don Virgil Scec? Deputato a Roma
nel primo dopoguerra per i cattolici sociali sloveni, si era così
appassionato alla causa nazionalista, spiega tra gli altri lo storico
Raoul Pupo (autore di libri come «Foibe» e «Il lungo esodo ») da
diventare leader dei cristiani schierati per il passaggio di tutte le
terre istro-venete alla Repubblica titina. Al punto di venir coinvolto,
a ragione o a torto, in un dossier inglese frutto di molteplici
testimonianze sulle foibe di Basovizza, dove qualcuno arrivò ad
accusarlo di un'enormità: non aver voluto amministrare i sacramenti ad
alcune persone «perché non ne valeva la pena». Per non dire di don Bozo
Milanovich, un prete nazionalista di Pisino che, raccontava Fulvio
Tomizza, «aveva un profondo odio per gli italiani, un po' motivato
forse. Era uno che diceva che i camerieri italiani mettono l'olio in
bocca e poi condiscono l'insalata del cliente» e «andò alla conferenza
di pace portando tutta una serie di atti di battesimo per mostrare come
l'Istria era piena di slavi». Un giornalista, raccontava l'autore di
«Materada», gli chiese: «Scusi, ma lei vuole davvero che l'Istria passi
alla Jugoslavia, cioè a un regime comunista e ateo?». E lui: «Le
ideologie passano, i confini restano».
Don Giovanni Gasperutti,
l'ultimo prete italiano rimasto a Capodistria, fu costretto a
realizzare di nascosto nella soffitta della sacrestia, con l'aiuto di
uno scalpellino, i calchi in gesso del busto di San Nazario da far
ricostruire a Trieste, perché non se ne accorgessero, come spiega il
sito degli esuli Arcipelago adriatico, «i due frati mandati da Lubiana
a dirigere la parrocchia ». E insomma la spinta nazionalistica slava
dentro la Chiesa è stata tale, per decenni, che non solo in un sacco di
chiese venetissime come a Portole, Rozzo, Grisignana o Pinguente non
resta una sola scritta in italiano, ma ancora pochi anni fa lo stesso
Wojtyla, male informato dal suo clero locale, arrivò a benedire la
veneta Madonna dell'Isola come «proto- santuario mariano delle terre
croate» e a ospitare in Biblioteca Vaticana una mostra («Arte religiosa
e fede croata») dov'erano croatizzati un busto argenteo di S. Stefano
fatto a Roma, l'arca di S. Simone di Francesco da Milano (nel catalogo
«Franjo iz Milana»), una statua di San Giovanni da Traù del toscano
Niccolò Fiorentino, il ritratto del vescovo di Spalato di Lorenzo
Lotto, una Pietà del Tintoretto, una tela del Carpaccio… Correva
l'anno 2000. E Tito era morto da vent'anni.
Perché nel clero slavo
alcuni dimenticano le mosse anti-italiane di preti sloveni e croati?
Gian Antonio Stella