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Preziose ceramiche sulla nave veneziana in acque dalmate (Il Piccolo 09 giu)

di PIETRO SPIRITO

Giace a 42 metri di profondità da più di quattrocento anni, trasportava un carico di ceramiche, specialmente piatti e brocche turche di Iznik, era una nave veneziana armata con almeno otto cannoni e naufragò nei pressi dello scoglio di San Paolo, sull’isola di Mlijet/Meleda, nell’arcipelago della Dalmazia meridionale, a diciotto chilometri da Korcula e trenta da Dubrovnik. Adesso una missione congiunta italo-croata ha condotto una campagna di scavi che ha permesso di recuperare, fra l’altro, la campana di bordo della nave, in bronzo, reperto grazie al quale è stato possibile datare quello che si annuncia come dei più preziosi relitti del Mediterraneo, e cioè un mercantile immediatamente successivo al 1567. Una scoperta che spalanca una finestra sul passato, quando l’Adriatico era dominato dalla Serenissima e dalle guerre con i Turchi, e il mare era scenario di grandi traffici e cruente battaglie.

La campagna di scavi archeologici sottomarini sul relitto del mercantile veneziano – campagna diretta dal Dipartimento di Archeologia subacquea dell'Istituto di restauro croato di Zagabria in stretta collaborazione con un'equipe del Dipartimento di Scienze dell'antichità e del vicino Oriente dell'Università Ca' Foscari di Venezia -, ha permesso di fare luce su alcune circostanze considerate di estremo interesse dal punto di vista scientifico, la prima delle quali è il fatto che la nave non è mai stata saccheggiata. Fondamentali, poi, saranno le osservazioni sulla tecnica costruttiva della nave, visto che le scarse conoscenze dei sistemi costruttivi navali di questo periodo derivano quasi esclusivamente da fonti scritte e iconografiche e sono rarissime le testimonianze archeologiche studiate.

La missione croata era diretta da Igor Miholjek, direttore dell'istituto, mentre quella veneziana da Carlo Beltrame, docente di Archeologia marittima a Ca' Foscari. La sua squadra di archeologi subacquei era composta oltre che dallo stesso Beltrame da Dario Gaddi, Cristiano Alfonso, Vladimir Danilovic, Francesco Dossola ed Elisa Costa. La missione era finanziata da parte italiana grazie anche ad un contributo della Regione Veneto, mentre la collaborazione italo-croata, avviata da Beltrame e Sauro Gelichi due anni fa con l'Università di Zara e proseguita ora con l'Istituto di Restauro di Zagabria, «è finalizzata – come spiega il docente veneziano – allo scambio di conoscenze ed esperienze nel campo della ricerca e della valorizzazione del patrimonio archeologico marittimo e allo studio dei relitti di età medievale e moderna che poca attenzione hanno ricevuto fino ad ora».

Le operazioni di scavo e di rilievo fotogrammetrico subacqueo per documentare i resti della nave veneziana non sono state semplici, considerata la profondità del giacimento che ha costretto gli archeoloigi che si immergevano in coppi a lavorare per un tempo non superiore ai venti muniti per volta.

Il relitto della ”cocca” veneziana appena scoperta non è certo l’unico di epoca medioevale e moderna sul fondo dell’Adriatico, e anzi l’intero progetto denominato ”Unesco Educational programme in nautical archaeology and history of navigation: XVI-XVII century”, che coinvolge appunto le Università di Zara e Ca’ Foscari di Venezia, prevede tutta una serie di iniziative, dall’organizzazione di sopralluoghi su relitti di età moderna della Croazia, ai convegni dedicati (uno internazionale a Dubrovnik), a corsi intensivi per studenti diarcheologia marittima. Un’equipe composta da tecnici e studenti italo-croati (tra cui Duilio Della Libera di Reitia Onlus e Mate Parica dell’Università di Zara), diretta da Irena Radic e da Beltrame, ha già eseguito lo scorso anno alcuni sopralluoghi ed una prima documentazione video e fotografica di altri tre giacimenti, i relitti di Šipan, Kolocep e Drevine. «Questi – spiega Beltrame -, come altri relitti di età moderna dei fondali croati (ad esempio l’eccezionale relitto di nave veneziana di Gnalic) sono stati parzialmente scavati negli anni ’60 e ’70 per essere poi dimenticati». «La nostra intenzione – continua l’archeologo – è di completare le indagini subacquee, oltre a proteggere quanto si intende lasciare sul fondale».

Una mappatura sintetica dei giacimenti croati mostra un patrimonio storico sommerso di tutto rispetto. Il relitto di Šipan appartiene ad una nave ragusea identificata grazie alle fonti storiche e naufragata nel 1576, su un fondale di 32 metri ai piedi di uno scoglio dell’isola omonima. Il relitto è stato scavato nei primi anni Settanta e parzialmente studiato. Dal giacimento provengono numerosi oggetti e pezzi dell’artiglieria composta da petriere in bronzo e bombarde in ferro. Il relitto di Kolocep invece giace su un fondale di 22 metri a nord dell’isola omonima, altro paradiso a 25 muniti di nave da Dubrovnik. Fu scoperto da un sommozzatore locale che, dopo aver recuperato numeroso materiale, decise di collaborare con le autorità e mettendo a disposizione la sua collezione. Si tratta di decine di forme di vetro, forse di Murano, di ceramica, di oggetti in metallo, di una petriera in bronzo e di alcuni cannoni in ferro databili ai primi del XVII secolo. I cannoni in ferro sono ancora in fondo al mare al centro di un giacimento che presenta centinaia di lastre di vetro perfettamente accatastate, metallo in lega di rame semilavorato, delle vanghe e varie forme di oggetti in vetro e di ceramica.

Il relitto di Drevine, infine, scavato alla fine degli anni Sessanta ma praticamente sconosciuto, si trova a 27 metri di profondità non lontano dall’isola di Kolocep. Del relitto si conserva ancora una porzione dello scafo coperto da pietre di zavorra. Dal fondo sono stati recuperati alcuni cannoni, 47 casse in legno contenenti vari oggetti tra cui coltelli avvolti in pagine di libri, sonagli ed altri materiali oggi solo parzialmente esposti nel museo di Dubrovnik. Dei gettoni da calcolo hanno permesso di datare il naufragio tra fine ‘600 e inizi ‘700.

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