di Ulderico Nisticò
Sono certo che, fossi stato, come 42 anni fa, d’esame, avrei svolto senza alternative il tema storico, subito impropriamente detto sulle foibe, ed era invece sulla questione adriatica. Oggi, che siamo a 42 anni dopo e sono commissario, ho avvertito i fanciulli che o si sentivano ben preparati, o era meglio evitare. Sic transit gloria mundi.
Io l’avrei presa, in premessa, molto alla lontana. Nel 1797 Napoleone, per avere il Belgio e Milano, cedette all’Austria Venezia con i suoi possessi in Veneto, Friuli, Istria, Dalmazia; mentre gli Inglesi occuparono Corfù e Isole Ionie. Con qualche intervallo di dominio francese, tale situazione venne confermata dal Congresso di Vienna, e, di fatto, Istria e Dalmazia vennero annesse all’Austria.
Era forse nelle intenzioni di Cavour, quando si alleò con Napoleone III per la guerra del 1859, di avere anche tutti i territori dell’antica Serenissima; ma si dovette contentare di Milano, aggiungendo l’Italia Centrale e da lì a poco le Due Sicilie.
La stessa speranza, credo, si accarezzava entrando nella guerra della Prussia contro l’Austria del 1866; ma l’incapacità e viltà di Lamarmora e Cialdini a Custoza, e Persano e i fedifraghi ammiragli napoletani a Lissa, fecero sì che a stento si ottenesse il Veneto, escluse, come Trento, le coste orientali adriatiche.
Con tutto questo, le città dalmate rimanevano italiane per lingua e cultura. Nel 1867 la vasta area danubiana subì un profondo sconvolgimento, con il riconoscimento dell’indipendenza ungherese in unione personale con l’Austria. Il rinato Regno ungherese inglobava minoranze slave in Croazia e Slovacchia; mentre l’Impero d’Austria comprendeva elementi slavi in numero crescente, e che ai primi del XX secolo divennero maggioritari. Vienna, anche in contrapposizione a Budapest, sostenne la penetrazione slava nelle città dalmate, che entro la seconda metà dell’Ottocento perdevano o vedevano affievolirsi il carattere italiano.
Il dissennato Patto di Londra del 1915 prometteva all’Italia, se entrava in guerra, la Dalmazia, ma, per ragioni assurde, non Fiume. E per più assurde, il governo italiano accettava limitazioni in caso di vittoria, affrontando una guerra che, in caso di sconfitta, avrebbe visto con ogni probabilità la fine stessa dello Stato unitario!
Nel 1918, l’Italia occupò Spalato, Traù, Sebenico, Zara; mentre Fiume si proclamava italiana, e, contro la volontà del governo, la occupava Gabriele d’Annunzio. La pochezza anche personale dei rappresentanti italiani impedì di trovare una soluzione diplomatica o di adottarne una di forza, mentre era palese l’intento della Francia di creare all’Italia un problema orientale. Intervenne Giolitti a salvare quanto era possibile, e con il trattato di Rapallo cedette alla Iugoslavia tutta la Dalmazia, del resto ormai quasi interamente slava, conservando solo Zara. Fiume venne eretta in asfittica Città libera, finché nel 1924 Mussolini ne ottenne l’annessione all’Italia. Al di là delle questioni territoriali, l’operazione diplomatica di Giolitti e Mussolini mirava a trovare una pacifica convivenza con la Iugoslavia, ad onta del piano francese.
Tale stato di cose durò fino al 1941, quando il reggente Paolo (la Iugoslavia era di fatto la dittatura della monarchia) parve guardare all’Inghilterra; e Germania e Italia scatenarono un’offensiva che, sulle prime, parve facile e risolutiva. L’Italia si annesse Lubiana e parte della Dalmazia, occupando Croazia, di cui venne eletto re il principe Aimone di Savoia, e Montenegro. Si scatenò la guerra di tutti contro tutti: slavi monarchici contro gli occupanti stranieri; slavi comunisti di Tito contro questi e i monarchici; ustascia fascisti di Croazia già amici dell’Italia, divenuti ostili proprio per le annessioni in Dalmazia! Le truppe italiane ebbero la mano pesante come tutti gli occupanti minacciati da guerriglia.
L’8 settembre colse le truppe nei Balcani senza ordini. Qualcuno passò ai ribelli, i più furono catturati dai Tedeschi, che occuparono Dalmazia e Istria. Gli ultimi anni della guerra furono orribili, e basta così. Intanto nelle discordi forze iugoslave predominava Tito.
Le foibe furono un’orrenda pulizia etnica non solo di fascisti, ma di italiani. I comunisti titini arrivarono a conquistare Trieste, da dove dovettero ritirarsi su pressione angloamericana. Ma il resto della Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia saranno cedute alla Iugoslavia per effetto del Trattato di pace, in cui l’Italia venne trattata – è bene ricordarlo – da nazione sconfitta, con buona pace di chi va dicendo che abbiamo vinto!
Trieste, per la solita fissazione, divenne Città libera. Di fatto parte del territorio (Zona B) restò occupata dalla Iugoslavia, la città dagli Inglesi (Zona A), tornando italiana nel 1954. La tensione non venne meno, nonostante che la Iugoslavia si fosse separata dal blocco sovietico. Si paventò a lungo una guerra, tanto che le poche truppe italiane degne di questo nome erano concentrate nel Friuli.
Il trattato di Osimo del 1975 è speculare a quello di Rapallo del 1920: l’Italia, rinunciando alla Zona B, si liberava per sempre dalla questione orientale, e dava inizio ad una politica estera e militare di ampio respiro. Già nel 1982 partecipava, per la prima volta dalla sconfitta, ad una spedizione internazionale in Libano.
Oggi del resto la Iugoslavia non c’è più da un pezzo, e le piccole Croazia e Slovenia sono molto vicine all’Italia. La politica estera si fa anche così.
Corollario 1: Solo un ragazzo matto di storia come ero io nel 1968 e resto, poteva affrontare con successo un tema del genere!
Corollario 2: Certo, non avrei usato questo scanzonato stile.
Corollario 3: Credo di aver scritto la verità senza partigianerie di alcun genere. Se la pretendo per me e le mie storie, devo saperla concedere anche agli altri!