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Valdevit: le verità incompatibili (Il Piccolo 10 lug)

di GIAMPAOLO VALDEVIT

Il concerto dell’amicizia inteso come segno di riconciliazione fra italiani sloveni e croati ha assai poco di epocale e ancor meno di nobile. Nobile e dignitosa fu invece quarant'anni fa l'iniziativa del cancelliere tedesco Brandt, il quale andò a inginocchiarsi ad Auschwitz senza negoziare che qualcun altro facesse altrettanto da qualche altra parte per rabbonire la memoria offesa dei tedeschi cacciati dai territori dell'Est. Ma oggi a Trieste siamo fuori tempo massimo e la riconciliazione attraverso il negoziato sulle memorie (conclusosi con un pari e patta) è qualcosa che ha a che fare non con la nobiltà ma piuttosto col suo contrario perché getta una luce falsa sul passato e sul presente della nostra città.

È solo al mondo della politica che l'iniziativa, così com'è stata congegnata, può interessare e dire qualcosa. Si sa infatti che politica è il più delle volte sinonimo di divisione, soprattutto quando il suo ingrediente principale – com'è avvenuto dall'Ottocento in avanti – è stata l'ideologia. La politica ideologizzata, che a Trieste è di casa da più di 150 anni, si è fatta tradizionalmente portatrice di ”verità” incompatibili con le ”verità” affermate dalla parte avversa, tanto che queste ”verità” si sono scontrate assai più a colpi di bastone che di fioretto. Oggi si preferisce dire: ognuno si tenga le proprie ”verità”, le memorie le gestiamo con gli equilibri tipici delle diplomazie e buona notte. A dire il vero, c'è qualcuno che protesta, ma solo perché si ritiene discriminato dagli equilibri delle memorie sui quali i tre presidenti si sono accordati.

Ma per la società triestina il messaggio del concerto è fuori luogo. Quella triestina è infatti una società che, se pure alle volte ha introiettato i virus dell'intolleranza, in linea di massima ha preferito integrare quelli che sono venuti da fuori: dico integrare non assimilare (che è un fenomeno diverso). Quanti matrimoni misti non si sono fatti a Trieste? Nella mia famiglia allargata, per esempio, quelli che erano arrivati una generazione prima davano pubblicamente alle nuove arrivate l'appellativo di s'ciava o di cabiba, ma mica le cacciavano fuori casa. Il meticciato qui è esistito ben prima che venissero a magnificarlo i cantori del politically correct. In tempi recenti non è pur vero che, sia pur con qualche difficoltà la società ha integrato anche i matti di Basaglia quando in altre città di tradizione progressista si preferiva tenerli rinchiusi nei manicomi? L'integrazione ha poi proposto uno stile di vita, quello borghese, al quale tutti hanno cercato di avvicinarsi e al quale oggi siamo tutti molto attaccati.

Ebbene, questo stile di vita si è tentato di massacrarlo nel 1945 quando è stato considerato sinonimo della peggiore reazione dai sedicenti progressisti di allora. Ma per fortuna è durata poco, perché dopo 40 giorni è arrivato chi con questo stile di vita si è trovato in sintonia e l'ha rivitalizzato modernizzandolo. Parlo degli americani e degli inglesi. È grazie alla loro presenza che la società triestina è riuscita a liberarsi dai virus del ventennio e si è pacificata, com'è avvenuto nel resto dell'Europa occidentale e in particolare in Germania.

È stata invece la politica che non ha voluto o più probabilmente saputo vedere tutto questo. A ben vedere, è questa inadeguatezza che fa da substrato al concerto di martedì prossimo. È ormai da decenni che intellettuali di queste due scuole spiegano che dopo foibe ed esodo si è determinata una scia di rancori protrattasi fino a oggi. È una storia che trova concorde il Presidente della Repubblica italiana il quale propizia l'evento? Mi pare non si possa negarlo, mentre il Presidente ex-azionista, cioè Ciampi, che veniva da una cultura politica estranea a quella comunista e a quella democristiana, e che pure aveva tentato un'operazione del genere, non ritenne di dover andare fino in fondo. I conti tornano dunque: la politica parla a se stessa con l'atteggiamento autoreferenziale che ormai tutti conosciamo, ma non sa parlare e tanto meno interpretare lo spirito della società.

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