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Arsia: la valigia di cartapesta di un minatore (parliamone.eldy.org 22 lug)

Premessa:
Questo episodio, più volte mi è stato raccontato da mio padre. Anche se scritto in una forma di –Racconto Lungo-, riporta fatti veramente accaduti. Potevo limitarmi a fare una ricerca storica dettagliata, ma ho preferito questo sistema, sperando che sia di vostro gradimento. Ma soprattutto, un doveroso pensiero a tutti coloro che lasciarono la vita nelle miniere di Pola. Sapete, quell’allievo picconiere, era mio padre. Conservo ancora il libretto di lavoro.

Giovanni, quella sera, non riusciva a dormire, si alzò dal letto e aperse la finestra. Un cielo con pochissime stelle cullava una fetta di luna sbiadita. Dalla posizione di questa capì che l’alba era vicina. Il paese dormiva, solo qualche gatto miagolava, imprimendo tristezza nel cuore di Giovanni. Chiuse senza far rumore la finestra: la moglie dormiva. Un fischio acuto che riconobbe subito, era  Ilio, l’amico d’avventura. Scese le scale seguito dalla moglie, sopra il tavolo una valigia di cartone. La moglie la prese e con le lacrime agli occhi la porse al marito. Seguì un abbraccio frettoloso dal quale si staccò per non cedere alla debolezza dei sentimenti.
Ilio e Gianni s’incamminarono verso la mulattiera che conduceva alla carrozzabile. Quando la stradina cominciò a tuffarsi nelle selve, diedero un ultimo sguardo al paese. Il campanile emergeva sopra i tetti delle case possente e severo. I finestroni sembravano due enormi occhi neri che seguivano l’allontanarsi dei due uomini. Poi il bosco li accolse e solo il rumore dei passi rompeva il silenzio. Giù alla carrozzabile, salirono sopra un camion, dove altri operai attendevano muti.

Alla stazione ferroviaria di Querceta, salirono sul treno che li portò verso luoghi a loro sconosciuti. Gallerie, pianure immense, e di nuovo colline. Quando incominciò ad imbrunire, il treno si fermò in una località dal nome strano: Pisino. Scesero, e si avvicinarono ad un autobus col muso da ippopotamo, brutto e sgangherato. Salirono assieme ad altri compagni di lavoro. Inutile guardare fuori: il buio avvolgeva tutto. Solo i fanali del veicolo illuminavano la strada di una luce fioca. Si fermò finalmente in un piazzale squallido e, appiccicata al muro una scritta:- MINIERE DI ARZIA- POLA  –

Furono accompagnati ad una fila di baracche, entrarono: un fetore di sudore e di sporco li accompagnò per tutta la lunghezza della camerata. Si sdraiarono sui duri materassi di vegetale e caddero in un sonno pesante. Al mattino presto,  furono chiamati all’ufficio manodopera, sulla porta di ingresso una scritta:- ARSA- SOCIETA’ ANONIMA CARBONIFERA –GRUPPO MINIERE ISTRIANE –MINIERE DI ARZIA – POLA-

Svolte le formalità, ad entrambi fu data la qualifica di –Allievi Picconieri- con una paga di lire 27 al giorno. Nel piazzale circostante, enormi mucchi di carbone. Anche le piante  erano ricoperte di un colore nero. Ebbero il tempo per visitare Pozzo Littorio, era il villaggio dei baraccati. Da lì, iniziava il pozzo centrale che, per mezzo di un grande ascensore si raggiungeva il profondo della miniera.

Il primo giorno di lavoro, salirono sul gabbione (così lo chiamavano)  a tre piani, che appiccato ad una corda di acciaio, carico di uomini, li portò nella pancia della terra. La luce del sole si spense sopra le loro teste sostituita dall’illuminazione artificiale. Il gabbione si fermò alla profondità di 800 metri. Li attendeva il capoturno che consegnò loro i picconi. S’incamminarono lungo una galleria: un vecchio minatore  s’accorse del loro smarrimento e li incoraggiò .

Col passare del tempo, si abituarono alle otto ore di sepoltura giornaliera. Ma quando il gabbione risaliva in superficie, guadavano il cielo e ringraziavano Colui, nel quale non avevano mai creduto.

La galleria si faceva sempre più bassa: i picconieri seguivano il filone del carbone. Spesso si ritrovavano ricoperti per l’improvviso crollo dello strato nero. Le infiltrazioni d’acqua inzuppavano le tute rendendo ancor più faticoso il lavoro. Dietro di loro, i manovali caricavano i carrelli del fossile estratto, mentre gli armatori puntellavano con grossi tronchi la volta della galleria. Gianni maledì il giorno in cui decise di partire per Pola. Guardò per un attimo i compagni di lavoro, non avevano nulla di umano. Solo gli occhi riflettevano la scarna luce delle lanterne, come quelli  d’un gatto nella notte.

Mentre picconavano puntando i piedi in quel budello umido e nero, ripensavano al lavoro della cava. Il vento che fischiava fra i blocchi e pungeva la faccia, era l’alito di un bimbo in confronto al grisou della miniera. L’acqua che lavava il fianco del monte e che a rivoli scendeva lungo la schiena, era un bagno tonico in confronto al fango nero della miniera. E il sole  che batteva sui blocchi e nelle pareti di statuario in un reberbero accecante, bruciando la pelle, era una benedizione in confronto al semibuio della miniera.

Alle ore dieci del 28 febbraio del 1940, il turno finì e il gabbione riportò gli uomini alla luce del sole. Ilio e Gianni, mentre s’incamminavano verso le baracche delle docce, si udì un grosso boato. Le sirene e campanelli d’allarme cominciarono a suonare, le squadre di soccorso scesero nelle profondità della terra alla ricerca dei sepolti vivi. Ilio e Gianni si calarono per l’ennesima volta in quell’inferno alla ricerca del figlio di Oscar. Ma furono costretti a risalire: non si respirava. Dopo alcuni giorni, lo ritrovarono dentro un pozzo d’acqua, con la testa appoggiata sopra un masso. Svenuto, ma vivo. Riuscirono a riportarlo in superficie .

Dopo diversi giorni, la Società Carbonifera  del gruppo Miniere di Pola, esponeva un lungo elenco di uomini, che ormai giacevano in una fossa comune, nel camposanto di Albona, a 47 km da Pola. Il numero dei morti salì a 350, tra i quali, 4 dell’alta Versilia. Nel cimitero di Basati, il mio paese, in una lapide  si legge:- Generosi figli della nostra terra, per l’indipendenza economica della nostra Patria, caddero nelle miniere di  Arsia , Pola , il 28-02- del 1940. All’età di 29 anni.

Ilio e Gianni ritornarono al loro paese. Tanta gente li attendeva e il campanile suonava a distesa. Riabbracciarono le mogli, amici e parenti. Un po’ appartate, due giovani vedove vestite di nero. Erano le mogli di due amici morti nella miniera. Ci fu un lungo abbraccio e le lacrime solcarono i volti di tutta la comunità.

Ognuno si avviò  verso la propria casa. Ilio teneva appiccicata alle mani la valigia di cartapesta. Prima di entrare in casa, la posò sul muretto  della via. La guardò scuotendo la testa bisbigliando a mezza voce:- Ecco tutto quello che ho portato, una valigia di cartapesta . -Non dire così – gli disse la moglie abbracciandolo, – Hai riportato la vita-

Giulio.lu

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