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L’Aja: legittima l’indipendenza del Kosovo (Il Piccolo 23 lug)

di GIOVANNI URBANI

BELGRADO La dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo non viola il diritto internazionale. Con un colpo a sorpresa, la Corte di giustizia dell’ONU, riunita all’Aja, ha inflitto ieri una cocente sconfitta alla Serbia. La sentenza non ha colto impreparata la classe dirigente di Belgrado. Già in mattinata l’entourage del presidente Tadic, avvertito del possibile esito negativo della battaglia giuridica, aveva edotto i media serbi sul come dare la notizia all’opinione pubblica nel modo più soft possibile. Un compito arduo perché le parole del presidente della Corte, il giapponese Hisashi Owada, hanno colpito nel vivo. Il collegio dei quindici giudici internazionali ha respinto le obiezioni serbe, ribadendo che il diritto internazionale non prevede «la proibizione di dichiarazioni di indipendenza» e che quella del Kosovo «deve essere considerata alla luce della situazione di fatto». La Corte ha messo così nero su bianco il suo placet all’indipendenza degli albanesi del Kosovo, proclamata nel 2008 dopo nove anni di amministrazione internazionale dell’ex provincia serba. La debacle di Belgrado appare ancora più amara se si pensa che era stata la Serbia a richiedere il parere dell'ONU, nella speranza di bloccare il processo di riconoscimento del Kosovo come Stato indipendente. Una vana illusione. La secessione è stata riconosciuta finora da 69 Stati, Italia inclusa. Da domani, fioccheranno nuovi riconoscimenti.

Completamente nel vuoto sono caduti i moniti del giovane ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, giunto all’Aja per perorare la causa serba. «Il diritto internazionale è chiaro riguardo la sovranità e l'integrità territoriale di un Paese», aveva ribadito Jeremic prima della sentenza. I giudici non lo hanno ascoltato, forse perché troppo permeabili alle pressioni politiche di Stati Uniti e Gran Bretagna, i potenti tutori dell’indipendenza di Pristina. Difficile prevedere le conseguenze del precedente creato ieri. Non è solo la Serbia ad avere perso all’Aja. Il giurista inglese Philip Sands ha spiegato alla TV serba che ieri si è aperto un pericoloso vaso di Pandora. «Il Canada ha il Quebec, la Spagna i baschi e la Catalogna, la Gran Bretagna ha la Scozia, la Georgia l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, la Cina il Tibet», ha avvertito Sands, citando i popoli che potranno appellarsi al caso Kosovo.

Da ieri è però la situazione in Serbia e in Kosovo a preoccupare. A Belgrado sono iniziati a spuntare poliziotti in tenuta anti-sommossa a presidiare alcune ambasciate occidentali. Il timore era quello di un’escalation di violenza scatenata dagli ultranazionalisti, infuriati per l’ennesimo smacco inflitto alla Serbia. Irenej, il patriarca ortodosso, ha invitato i serbi alla calma: «Rimanete uniti in armonia e contribuite alla difesa pacifica del Kosovo e Metohija, la nostra terra santa». «Abbiamo di fronte giorni difficili, ma bisogna mantenere la pace», ha aggiunto il ministro Jeremic, sottolineando però che la Serbia «mai, in nessuna circostanza, riconoscerà un Kosovo indipendente». La temuta reazione violenta dei serbi non c’è però stata. Molto diversa e meno pacata la risposta dei kosovari. Gli albanesi sono scesi in piazza a festeggiare, tra fuochi d’artificio, raffiche d’armi da fuoco e provocazioni alla minoranza serba, soprattutto nella zona di Mitrovica, la «Berlino» del Kosovo, città divisa in due dal fiume Ibar. La polizia europea, Eulex, ha dovuto schierare tutti i suoi uomini per evitare contatti tra serbi e albanesi. Le provocazioni si sono però subito spostate sul piano politico. «Dopo la decisione della Corte, ci aspettiamo che la Serbia si confronti con noi alla pari», ha dichiarato il ministro degli Esteri di Pristina, Skender Hyseni. Richiesta subito rigettata da Belgrado, che pensa già alle prossime mosse. La soluzione più probabile sarà richiedere una forte autonomia in stile alto-atesino per il nord del Kosovo, a maggioranza serba. O una spartizione sul modello cipriota. Ma ogni proposta dovrà fari conti con la rabbia dei serbi del Kosovo che ancora ieri urlavano, sgomenti e feriti, «il Kosovo è Serbia».

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