La memoria non è fatta solamente di racconti e di immagini perdute nel tempo. È composta anche da oggetti, materiali e palpabili. Uno di questi è il Vessillo della libera provincia dell’Istria che l’Unione degli Istriani, assegna ogni anno a coloro che si sono segnalati nel difendere e raccontare l’identità italiana in Istria e Dalmazia. Quest’anno, il più importante riconoscimento dell’Unione è stato assegnato a Fausto Biloslavo, che da oltre trent’anni racconta il dramma degli esuli: «Per me è un grande onore – racconta il reporter a ilGiornale.it. – non solo per me, ma anche per tutte le testate che hanno pubblicato i miei articoli e che hanno creduto nella battaglia degli esuli per far riemergere quelle verità infoibate a cui abbiamo anche dedicato un libro di successo. Il riconoscimento è anche un ricordo e lo dedico a mio nonno, prelevato e infoibato dai partigiani di Tito a guerra finita a Trieste. E anche all’altro mio nonno, esule, insieme a mio padre. Io sono figlio di un esule e nipote di un infoibato a Trieste. Questo riconoscimento lo dedico a loro».
A muovere Biloslavo, però, non è solamente la sua storia familiare, ma anche il desiderio di continuare a ricercare una verità nascosta a lungo, a cominciare dai libri di scuola: «Forse quello che mi ha spinto a proseguire nella ricerca della verità, a parte le mie vicende familiari, sono i ricordi degli anni Settanta. Quello che leggevo sui libri di storia, notizie poco approfondite, mi ha spinto ad andare oltre. Sono stato fortunato a trovare ambienti nei quali ho potuto contribuire a far riemergere le verità infoibate. Ho scritto centinaia di articoli, scoop e interviste, anche agli infoibatori. Ricordo non solo Il Giornale, ma anche altre testate come Epoca. Ci sono state testate coraggiose, a cominciare dalla nostra, che hanno creduto al dovere storico di scoperchiare questa verità per troppi anni, per opportunismo politico interno, dimenticata e celata».
Il Vessillo della libera provincia dell’Istria non rappresenta un punto di arrivo per Biloslavo, ma di ripartenza per nuovi progetti: «Bisogna collaborare con i nostri cugini europei, che anche loro hanno subito lo sterminio politico da parte delle truppe di Tito, forse anche più degli italiani. Mi riferisco a sloveni, croati, serbi, che erano anti comunisti, che forse avevano mani sporche di sangue, ma il massacro a guerra finita che hanno subito non si giustifica. Questo massacro è stato celato per mezzo secolo. Poi è venuto alla luce anche grazie a una commissione governativa slovena che ha individuato un enorme cimitero. Ci sono 700 fosse comuni di foibe e caverne con resti delle vittime di Tito. Al confine con l’Italia ci sono ancora tanti resti. Non tutte le grotte sono state esplorate. Bisogna continuare a cercare per dare un nome e riconoscere queste vittime, anche se è passato tanto tempo. Bisogna portare un fiore sulle loro tombe, con nome e cognome».
La memoria è un testimone che va passato alle nuove generazioni ed è per questo che Biloslavo chiede ai giovani di non dimenticare. «Se non sapete, saremo noi ad aiutarvi a conoscere. Anche a ricordare queste tragedie dimenticate per troppo tempo. Notizie del genere sono state chiuse nel cassetto della storia. I giovani nati in questo millennio saranno scevri, liberi dalla propaganda, dalla visione di parte, si renderanno conto che una parte della storia patria deve essere assolutamente ricordata perché è stata una tragedia».
Da Il Giornale.it del 30/06/21