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A Pordenone come in Istria: maestri veduti dal Sud… (Il Piccolo 19 mar)

LETTERE

In riferimento al recente episodio avvenuto a Pordenone, dove un maestro elementare originario di Napoli è stato rimosso dall’incarico perché, oltre a carenze didattiche, usava un linguaggio incomprensibile agli scolari, riporto una parte del racconto di Guido Miglia «Ricordo istriano» che è anche reperibile integralmente su Internet, che dimostra che dopo ben settanta anni certe situazioni tendano a ripetersi.

Si riferisce a un incontro in un caffè di Venezia vicino al Ponte Rialto attorno al 1960, con vari personaggi istriani tra i quali l’allora ventenne scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini, del quale si sta celebrando a Trieste il centenario della nascita.
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Ricordo, fra le tante cose che ci siamo detti in quell’anno di nostalgie e di ripensamenti, la testimonianza del vecchio ispettore scolastico di Parenzo, che cerco di riportare con le sue stesse parole:

«Eravamo a metà degli anni trenta, in piena euforia fascista, all’inizio di un nuovo anno scolastico, con i maestri di nuova nomina che giungevano non solo dall’Istria, ma da tante regioni italiane, e specialmente dal Sud. Mi si presentarono in ufficio un gruppo di donne che venivano da Torre di Parenzo, un villaggio contadino sopra la foce del fiume Quieto, dove si parlava soltanto l’italiano, o meglio il dialetto istro-veneto». «Signor rispettor – mi dissero – (dicevano "rispettor" e non ispettor, credendo, nella loro semplicità, che questo fosse un segno di rispetto), Lei la ne ga mandà a scola dei nostri fioi due maestri slavi, e i nostri pici non capissi gnanca una parola de quel che lori i parla: e qua de noi nissun sa parlar né sloven né croato. Noi mame la preghemo de cambiar questi maestri, perché i nostri fioi, quando i riva a casa, i xe disperadi».

«Quei due – io risposi – sono due giovani maestri giunti per la prima volta in Istria dal napoletano: vedrete che farò qualcosa per riportare la serenità nella scuola».

Questa la testimonianza dell’ispettore scolastico di Parenzo, che ogni lettore può commentare da sé: io soltanto vorrei aggiungere che quei due giovani venuti dal profondo del Sud, per portare in Istria «terra redenta» la «civiltà italica» non sapevano nemmeno dove si trovavano, dove le autorità li avevano mandati, non conoscevano né la storia né la geografia delle nostre terre orientali, ed agivano con la spontaneità giovanile di fronte a problemi ch’erano assai più vasti, fuori della nostra comprensione. È uno dei risvolti del nostro dramma, ma non è l’unico: ho voluto ricordarlo, perché mi pare che ancor oggi possa far riflettere.

Pietro Valente

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