Resoconto della videoconferenza tenuta dal Prof. Marco Cuzzi (Università degli Studi di Milano) per il Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.
Anche prima della nascita ufficiale del Regno d’Italia e prima che la Serbia proclamasse il Regno SHS, si erano stabiliti i primi contatti diplomatici fra Casa Savoia e Serbia, allora kanato turco. I primi rapporti li datiamo attorno al 1848, in occasione del manifestarsi di un empito rivoluzionario europeo; nasceva allora l’interesse dello stato sabaudo verso la Serbia, che era ancora inquadrata come principato di Serbia nell’impero ottomano. Il resto della Jugoslavia apparteneva all’impero asburgico. Il fiume Drina, fin dal tempo dell’impero bizantino, divideva questi due mondi, fra di loro contrapposti. Il Regno di Sardegna stabilì a Belgrado un Consolato, a tal proposito si ricorda l’alacre attività dei fratelli Cerruti, che, in quella città, prestarono la loro opera. La Serbia, con la Voivodina ed il Banato, confinava con l’Ungheria, legata da sempre agli Asburgo, e quindi, in chiave antiaustriaca, la Serbia costituì la base di appoggio per aiutare i rivoluzionari ungheresi, guidati da Lajos Kossuth,
In Serbia in quel tempo regnavano gli Obrenovich che nel 1878 si erano affrancati dagli ottomani e proclamato il Regno di Serbia.
I rapporti instaurati tra il Regno d’Italia e il Regno di Serbia, con gli Obrenovich, si raffreddarono gradualmente a partire dal Ministero Depretis, nel 1882. La funzione antiasburgica della Serbia cominciò ad indebolirsi, la monarchia si orientò prima verso la Francia e, dopo, verso l’Austria sempre con la stessa famiglia regnante, gli Obrenovich. L’avvicinamento italiano verso l’Austria nacque per un dissidio con la Francia per la questione tunisina: alla fine del ’81 la Francia stabilì un protettorato su Tunisi, rendendo vane così le mire coloniali dell’Italia, nel cambiamento di fronte, però, pesarono anche altri motivi: tra questi, l’intervento dei Francesi a sostegno del Papato, nel ’49, quando spararono sul Gianicolo contro i rivoluzionari italiani, il tradimento di Villafranca, la guerra commerciale, le rivendicazioni, la cessione di Nizza, la rivendicazione della Corsica. Al distacco dalla Francia si accompagnò un’ammirazione profonda verso la Germania bismarckiana (Bismark scomparve nel 1890, ma la sua dottrina politica continuò). L’alleanza con la Germania prussiana comportò la vicinanza all’Austria e ciò causò la repressione del Movimento Irredentista in Italia. L’Irredentismo mazziniano, massonico, potremmo definirlo “di sinistra” non piaceva al vecchio Crispi.
La prospettiva cominciò a cambiare nel nuovo secolo con il problema del Confine Orientale. Tra Italia ed Austria erano state condotte trattative per la cessione del Trentino fino a Salorno: tali trattative non riguardarono mai Trieste e l’Istria. Il Regno d’Italia era insoddisfatto, Garibaldi era stato fermato dopo Bezzecca pronunciando il famoso “Obbedisco”. Nel 1908 iniziò un nuovo Irredentismo, allargato, non limitato a circoli culturali e governativi che si impadronì dei circoli nazionalistici, nei quali si parlava di un’Italia che doveva estendersi fino a dove, un tempo, dominavano romani e veneziani, di un’Italia che traeva da questa storia, opportunamente esaltata, i suoi motivi fondativi. In questo modo l’Irredentismo si espanse al di là dei vecchi limiti entro i quali si era inizialmente sviluppato.
Il Prof. Cuzzi, cercando di “periodizzare” i rapporti italo-jugoslavi, individua fino a questo punto una prima fase di “rapporti virtuosi”. La Jugoslavia, per affrancarsi dalle culture imperiali a cui era stata sottoposta, guardava con interesse all’Italia. Cuzzi cita Nicolò Tommaseo che esaltò lingua, cultura e storia italiane.
Ma dopo la prima fase di rapporti virtuosi cominciarono i contrasti con sloveni e croati, che abitavano le stesse terre, e che la politica di Vienna cercava di affrancare da quella che era stata da secoli una supremazia degli Italiani. Quindi, se da un lato ancora vigeva l’alleanza con gli Imperi Centrali (la Triplice), dall’altro stava sorgendo una netta contrapposizione con gli stessi. Cominciarono da parte asburgica favoritismi, sempre maggiori, anche fiscali, verso sloveni, croati, boemi. Nei primi anni del ‘900 sorsero contrasti a Trieste e nel Trentino. In questa fase Roma intratteneva ancora rapporti buoni con Belgrado, dove, però, la nuova dinastia dei Karageorgevich si orientava verso la Francia. L’Italia con Zanardelli-Prinetti aveva superato il contenzioso con la Francia, assumendo posizioni simili a quelle serbe. A questo proposito il Prof. Cuzzi afferma che la perdita di attenzione e di affezione degli Asburgo verso gli Italiani era pilotata, più che da Vienna, da circoli boemi e ungheresi.
Entriamo, seguendo la periodizzazione del professore, in una prima fase dei rapporti italo-jugoslavi, che va dal ’15 al ’17, fase di alleanza tra italiani e jugoslavi: si era costituito un Comitato degli Slavi del Sud, in esilio, con buoni rapporti con gli Italiani. Buoni rapporti perchè tutti insieme perseguivano uno stesso fine: l’affrancamento dal dominio asburgico. Ricordo che il Comitato degli Slavi era costituito da irredenti sloveni, croati, serbi, montenegrini. Ma il Comitato in questa fase iniziò a trattare con la Francia, richiedendo per sé quei territori che il Patto di Londra aveva promesso all’Italia. Gli interessi dei Serbi erano diversi giacché avevano bisogno di porti per uno sbocco al mare: l’Adriatico meridionale. Per la Serbia disporre di porti costituiva un’esigenza di spazio vitale (come si soleva affermare a quei tempi). L’Italia, al contrario, era spinta da una politica espansionistica ed imperialistica (e chi, dice Cuzzi, non era imperialista in quel secolo!). Nell’ottobre del ’17 scoppiò la definitiva Rivoluzione russa a causa della quale i paesi occidentali iniziarono a pensare alle necessità di creare degli stati cuscinetto, che potessero frenare il dilagare delle idee portate dalla rivoluzione e la loro penetrazione nei propri paesi. Tra le altre potenze ne era subentrata, un’altra, gli Stati Uniti, la cui voce era espressa dal Presidente Wilson, che disconosceva le conclusioni del Trattato di Londra. Wilson sosteneva infatti che le clausole del Trattato di Londra dovevano essere rinegoziate, perché era necessario che si creasse un nuovo stato-nazione, la Jugoslavia. Nel 1917 il governo serbo si incontrò con i delegati dalmato-croati e sloveni (erano presenti anche dei delegati serbo-bosniaci) ed a Corfù si creò questa nuova entità, uno stato jugoslavo: il Regno di Serbia Croazia e Slovenia – SHS. È il Patto di Corfù, nel quale SHS rivendicava tutti i territori dalmati e istriani, addirittura parte della Venezia Giulia fino al Tagliamento. Le posizioni dei diplomatici italiani mutarono radicalmente. Il Ministro Sonnino, che era partito dall’idea di distruggere l’Austria, ora ne difendeva la conservazione, almeno per una piccola parte. Questa tesi era condivisa da una parte dell’opinione pubblica italiana, quella che avrebbe, poi, dato vita al partito dalmatofilo. Questo per ostacolare la formazione di una forte Jugoslavia, appoggiata ora in misura sempre maggiore dalla Francia e dalla Gran Bretagna; quest’ultima da sempre in competizione con l’Italia per il controllo marittimo dell’Adriatico meridionale. Un’altra parte dell’opinione pubblica italiana s’addentrava in una discussione sui confini naturali ed etnici, e di questa il portavoce era Bissolati, socialista interventista, che affermava che la Dalmazia non rientrava nei confini naturali dell’Italia. Questo scontro fra i due partiti, in Italia, comportò un’accelerazione del processo unitario jugoslavo. La corona jugoslava era rappresentata dal vecchio Pietro, la cui presenza era offuscata dal figlio Alexander, che aveva nelle sue mani le redini del potere. Alexander, principe ereditario, accelerò la formazione del Regno SHS, che nacque, forse anche inaspettatamente, già il primo di dicembre 1918.
Si chiuse così la fase di alleanza fra Italia e Slavi del Sud e iniziò la “Guerra Fredda” italo-jugoslava, che sarebbe durata fino al 1924. In Jugoslavia si sviluppò un sentimento antitaliano, mentre ancora a Parigi si trattava sui confini. La trattativa venne condotta per l’Italia dal Ministro Sonnino, un “eterno” Ministro degli esteri, che copriva tale carica dal 1914 fino al 1919. Sonnino ed il primo Ministro Vittorio Emanuele Orlando gestirono in maniera “pasticciata” questa trattativa. La questione jugoslava stava “intossicando” la nostra politica estera, tanto da far dimenticare le trattative che si svolgevano a Parigi per la spartizione delle colonie che erano appartenute alle potenze vinte e le compensazioni per i danni di guerra. L’Italia negoziò con l’Intesa durante le trattative di Saint Germain e del Trianon. Lo sforzo italiano nell’Adriatico non venne ricompensato: Gabriele d’Annunzio, proprio un anno dopo Caporetto, pubblicò sul Corriere della Sera il famoso articolo “Vittoria nostra non sarai mutilata. Nessuno può frangerti i ginocchi né tarparti le penne. Dove corri? dove sali?”. Si aprì la questione fiumana. Gli Italiani alle trattative di pace non avevano considerato Fiume, perché, seguendo l’idea di Sonnino, gli Italiani consideravano Fiume come il porto di un possibile eventuale staterello post-asburgico, croato, o ungaro-croato. Tale stato, magari, avrebbe potuto avere una tutela italiana. Ma lo stesso Sonnino, alla prospettiva che si stabilisse un regno jugoslavo, fece marcia indietro, e si batté per l’acquisizione di Fiume e la Dalmazia, antico sogno rivoluzionario dai tempi di Garibaldi. Nacquero le organizzazioni terroristiche jugoslave, quali l’ORIUNA, un’organizzazione di estrema destra, costituita da rivoluzionari che alcuni storici han definito “i d’Annunzio jugoslavi”. D’Annunzio invece li definiva “porcilaia serba”, i serbi, comunque, non erano da meno nei riguardi degli Italiani. Nella trattativa in corso lo stato SHS si appellava a Wilson. Al termine della Prima guerra mondiale il Regno d’Italia organizzò delle spedizioni in Montenegro e Albania, a sostegno del separatismo del Kossovo che apparteneva alla Serbia e a sostegno del separatismo montenegrino. Infatti, la Serbia, all’atto della proclamazione del regno SHS, aveva inglobato il Montenegro. Il popolo montenegrino non era stato sconfitto nella guerra mondiale, i guerrieri montenegrini erano conosciuti come i guerrieri delle Montagne Nere. Sottolineiamo che il capostipite dei Karageogevich era un Petrovich, per cui c’era apparentamento dinastico tra le due famiglie Karageogevich e Petrovich.
Una nuova fase dei rapporti italo-jugoslavi si aprì con Giolitti. Dopo le varie vicende della Questione Fiumana, l’intuizione di Giolitti fu di parlare direttamente con le autorità di governo serbe; nel ’24 Mussolini chiuse definitivamente la questione Fiumana ed il lungo periodo di contenzioso con la Jugoslavia. Con Mussolini nel ’24 la questione era definitivamente risolta. Però nello stesso tempo si era sviluppato un risentimento sloveno-croato nei confronti di Belgrado. Ai serbi il porto di Fiume interessava relativamente, a loro interessava maggiormente allargarsi verso sud. In questo periodo l’esponente più in vista e più attivo nel manifestare l’interesse croato su Fiume fu Stephan Radic, fondatore del partito croato dei contadini.
Dopo il ’24 iniziò una fase di distensione nei rapporti italo-jugoslavi, fase che durò fino al 1926. Mussolini, da quell’anno, incominciò a guardare con rinnovata attenzione all’Albania, come territorio di espansione e sviluppo di interessi geopolitici italiani. Con la firma dei trattati di Tirana nel ’26 e ’27 incominciò una nuova fase di tensione con la Jugoslavia. Sull’Albania venne stabilito un protettorato, reso possibile dal favore del primo ministro albanese, che, inizialmente propendeva verso Belgrado, ma che era poi diventato filoitaliano. Si scatenò allora a Belgrado un’opposizione durissima nei confronti dell’Italia: il problema di fondo era sempre il Kossovo.
La conseguenza fu che dal 1926 al ’37 si registrò un’opposizione decisa verso l’Italia, con contrasti negli stessi serbo-croati che portarono all’assassinio di Stephan Radic in Parlamento, tanto che lo sloveno Kolosek decise la messa al bando dei partiti e l’instaurazione di una monarchia assoluta (Regno di Jugoslavia). I nazionalisti croati (Ustascia) e i nazionalisti macedoni vennero allontanati e messi al bando. I nazionalisti furono sostenuti dall’Italia, perché a questo punto Mussolini intendeva rinegoziare la presenza italiana in Adriatico. La crisi diventò acuta, fino ad esplodere nell’attentato di Marsiglia del ’34 quando gli Ustasica di Ante Pavelic, sostenuti dall’Ungheria (ma l’Italia ne è considerata mandante morale) uccisero lo stesso Alexander a Marsiglia. Sorse un nuovo personaggio nella politica serba, Milan Stojadinovich, della Destra Radicale, ammiratore di Mussolini, il quale iniziò un avvicinamento all’Italia soprattutto in funzione antigermanica: infatti sia Stojadinovich, come anche Mussolini, temevano l’espansionismo tedesco. Nello stesso tempo venne rigettato un avvicinamento della Jugoslavia alla Francia, col reggente principe Paolo, che aveva sostituito Pietro II fino a quando questi non avesse raggiunto la maggiore età. I rapporti con l’Italia furono molto stretti, fino al ’39, anno in cui il principe Paolo venne defenestrato. Cessò anche il Ministero Stojadinovich, al governo salì Macek, successore di Radic. Mussolini continuò ad osteggiare la politica espansionistica tedesca in Jugoslavia; da ciò derivò anche la decisione dell’Italia del disastroso attacco alla Grecia. Col ’40 e l’alleanza con la Germania cessò il sogno di Mussolini di una presenza indipendente dell’Italia nei Balcani. Nel ’41 l’”Intelligent Service” inglese cospirò per la caduta di Macek e la fine dell’avvicinamento a Berlino.
Così si chiude l’alterna vicenda dei rapporti italo-jugoslavi
Claudio Fragiacomo
Dirigente del Comitato provinciale di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia