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Adriatico mare comune, una storia da riprendere (Il Piccolo 26 apr)

Non sempre le cose coincidono, hanno lo stesso segno. In Adriatico il clima meteorologico, come quello economico e sociale lascia molto a desiderare, migliore è invece quello politico e culturale. Le decisioni prese sul finire dello scorso anno dall’Unione Europea aprono scenari nuovi ed interessanti. La Croazia dall’1 luglio del 2013 sarà nell’Unione europea e la Serbia ha ottenuto dall’1 marzo lo status di paese candidato. Anche le importanti iniziative prese dai Presidenti della Repubblica italiana, croata e slovena, con gli incontri di Trieste e di Pola, sono stati eventi che hanno lasciato il segno, indicando che vi sono margini per aprire in Adriatico una stagione nuova.

 

Vi sono dunque oggi condizioni politiche più favorevoli per quanti pensano che l’Adriatico possa tornare ad essere quello che è stato a lungo nella sua storia: un mare nel quale le diversità riuscivano a convivere bene. Una storia questa che si è interrotta nel Novecento e che merita invece di essere ripresa. Si tratta di un lavoro che coinvolge tutti, e un ruolo importante hanno gli intellettuali, dai letterati agli scienziati sociali, e non solo gli storici. Naturalmente va riconosciuto a questi ultimi un ruolo di rilievo poiché si tratta di recuperare vicende importanti che sono state attentamente oscurate nel secolo scorso. Si tratta infatti di tornare a distinguere tra nazionalismo e patriottismo democratico, di riflettere sui rapporti che devono e che possono esistere tra Stati, Nazioni e diritti, mostrando che sono possibili identità plurali.

 

Si può essere contemporaneamente croati, europei, adriatici e dalmati o istriani, si può essere italiani, europei, adriatici e pugliesi, senza neppure dimenticare che il nostro mare è poi un pezzo del Mediterraneo e che quindi in qualche modo siamo tutti necessariamente mediterranei. Il tema dell’identità adriatica è da tempo al centro delle attività che si svolgono a Bari, essendo noi persuasi da Amartya Sen che forse una maggiore consapevolezza delle nostre identità plurali costituisca un prezioso antidoto nei luoghi – come l’Adriatico – nei quali dominano, le ipertrofie identitarie.

 

Un libro, curato da Lorenzo Nuovo e da Stelio Spadaro, che raccoglie analisi e riflessioni storiche sulle esperienze politiche e la cultura civile degli italiani dell’Adriatico orientale, ha consentito di organizzare nei giorni scorsi nell’Università di Bari una discussione che ha coinvolto studiosi, ma anche esponenti di spicco sia degli italiani che lasciarono la riva orientale per l’Italia e sia di quelli che invece restarono. Nulla deve essere rimosso e dimenticato delle tante storie tragiche del Novecento, ma occorre anche fare uno sforzo per provare a creare le condizioni culturali che servono per alimentare una nuova convivenza tra i popoli adriatici. Siamo impegnati da anni in Puglia in un lavoro paziente di tessitura di rapporti tra noi e i paesi che vivono sulla riva orientale. Si tratta di un lavoro importante che deve impegnare di più tutti gli attori, istituzionali e non, che hanno a cuore il futuro dei popoli adriatici.

 

Franco Botta

Facoltà di Scienze politiche-Università di Bari

“Il Piccolo” 26 aprile 2012

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