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Ai cittadini croati chiuse le porte dell’Europa che conta (Voce del Popolo 06lug13)

L’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, celebrato solennemente il 1.mo luglio scorso, chiaramente non coinciderà con la piena libera circolazione dei lavoratori croati all’interno dell’Unione stessa. La prassi comunitaria prevede infatti che i Paesi membri dell’Unione possano prevedere delle limitazioni all’accesso al mercato del lavoro in primo luogo per un periodo di due anni e successivamente per altri tre anni. I cittadini croati si ritroveranno per il momento le porte sbarrate in buona parte dei Paesi vicini, a eccezione dell’Ungheria. Potranno cercare lavoro liberamente soltanto in Paesi lontani, solitamente poco attraenti per la manodopera croata.

La Grecia, la Francia e Malta sono stati gli ultimi Stati a includersi nella lista di quei Paesi che hanno introdotto una moratoria di due anni per i lavoratori croati. In precedenza ad agire in questo modo sono stati Germania, Olanda, Cipro, Austria, Gran Bretagna, Slovenia, Italia, Belgio, Spagna e Lussemburgo. Manterranno, invece, le porte aperte ai lavoratori croati: Portogallo, Polonia, Svezia, Romania, Ungheria, Irlanda, Slovacchia, Repubblica ceca, Danimarca, Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania. Vigerà anche un regime di reciprocità. Difatti lo scorso 26 giugno il governo di Zagabria ha emanato una delibera con la quale si applicano le medesime misure per i lavoratori di quei Paesi che hanno posto limitazioni ai croati.

Per quanto concerne l’Italia, lo ricordiamo, il 2 luglio scorso è stata adottata la Circolare congiunta del ministero dell’Interno e del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la quale viene regolamentato l’accesso al mercato del lavoro dei cittadini provenienti dalla Croazia. Il governo italiano, “analogamente a quanto previsto da altri Paesi dell’Ue, ha deciso di avvalersi di un regime transitorio, in considerazione della situazione esistente nel mercato del lavoro italiano, per il periodo iniziale di due anni prima di liberalizzare completamente l’accesso al lavoro subordinato. Rimane, invece, privo di ogni limitazione il lavoro autonomo. Il regime transitorio – si precisa – non si applicherà, comunque, alle categorie previste dalle disposizioni del TU dell’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998): “ricercatori; lavoratori altamente qualificati; lavoratori stagionali, ivi compresi coloro che dimostrino di essere venuti in Italia almeno 2 anni di seguito per prestare lavoro stagionale; lavoratori domestici”.

“Per tali settori – prosegue la circolare – l’Italia farà ricorso ad un regime di libero accesso al mercato del lavoro interno. Pertanto i datori di lavoro che intendono procedere all’assunzione di lavoratori croati appartenenti ad una delle categorie sopra indicate dovranno rispettare solo gli ordinari adempimenti previsti dalla normativa vigente in materia di lavoro, effettuando le comunicazioni obbligatorie ai servizi territorialmente competenti, secondo le modalità prescritte dal D.M. 30 ottobre 2007 del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali”. “I cittadini croati che alla data del 1 luglio 2013 avessero un regolare rapporto di lavoro – chiosa la circolare – possono iscriversi ai Centri per l’impiego territorialmente competente, in caso di cessazione del rapporto stesso. I benefici cessano in caso di abbandono volontario del mercato del lavoro italiano da parte del cittadino croato”.

La limitazione, pertanto, come specifica in un’apposita nota il direttore della Ripartizione lavoro della Provincia di Bolzano, Helmuth Sinn, non vale per quanto riguarda il lavoro stagionale nei settori dell’agricoltura e turistico-alberghiero. “In base a questa regolamentazione”, rileva il direttore Sinn, “sono state abolite tutte le procedure di autorizzazione sinora previste per i lavoratori stagionali provenienti dalla Croazia, che possono essere quindi assunti in lavori stagionali come i lavoratori locali od i cittadini provenienti da altri Stati UE”. Analoghe facilitazioni sono previste anche per lavoratori altamente qualificati o per infermieri. Per tutti gli altri settori, prosegue la nota della Ripartizione lavoro, attualmente non vi sono opportunità di occupazione per lavoratori provenienti dalla Croazia in quanto non sono previsti degli appositi contingenti.

I sindacati però non sono soddisfatti della situazione che si è venuta a creare. Ricordiamo infatti che il Consiglio Sindacale Interregionale Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Nordoccidentale (l’associazione che riunisce le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL di Friuli Venezia Giulia e Veneto e l’SSSH delle Contee Istriana, Litoraneo-montana e di Lika-Segna) ha espresso il proprio rammarico per la decisione del governo italiano di adottare il regime transitorio per i lavoratori subordinati croati. Questa decisione, secondo i sindacati, dimostra come in ultima analisi abbia prevalso all’interno dell’Esecutivo una visione poco coraggiosa e poco lungimirante, rispetto alla reale consistenza del mercato del lavoro nazionale e delle regioni italiane del Nord-Est in particolare.

“Se è vero che il settore del lavoro domestico e di assistenza alle persone anziane o comunque affette da patologie invalidanti, che le rendono non autosufficienti, è da subito liberalizzato, è altrettanto vero che aprendo il mercato del lavoro italiano solamente a pochi altri settori produttivi è stato dato un segnale politico chiaro ai lavoratori croati, i quali faranno molta fatica a percepire il cambiamento tra l’essere passati dalla condizione di cittadini di un Paese terzo a quella di cittadini dell’Unione. Questa scelta, inoltre, difficilmente avrà ricadute positive sulla possibilità di avviare un serio percorso di regolarizzazione dei rapporti di lavoro, che riguardano migliaia di lavoratori frontalieri croati, impiegati nei mercati del lavoro del FVG e del Veneto. Dispiace, inoltre, che il l’Italia non abbia inteso allinearsi alla posizione di quei governi di Paesi UE che, considerate le dimensioni relative della popolazione della Croazia e ritenendo quindi che non vi fossero particolari rischi di invasione dei propri mercati del lavoro nazionali, hanno deciso di non comprimere per i lavoratori croati uno dei 4 diritti costitutivi dell’UE, vale a dire quello che garantisce la libera circolazione delle persone”, rilevano i sindacati, auspicando che tali misure perlomeno non vengano reiterate dall’Italia dopo i primi due anni.

(fonte “la Voce del Popolo” 6 luglio 2013)

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