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Alida Valli, il mito nato sull’elenco telefonico (Il Piccolo 14 dic)

Nel dicembre 1937 esce nei cinema italiani “Il feroce Saladino” di Mario Bonnard. Un “film-rivista” che sfrutta uno dei fenomeni più popolari di quegli anni, il ricco concorso a premi della Perugina nel quale la figurina che raffigura il personaggio in questione è rarissima. Coprotagonista della pellicola è una giovane attrice appena sedicenne. Il suo nome è Alida Altenburger, modificato in Alida Valli dopo aver cercato, così vuole la vulgata, sulla guida telefonica. «Altenburger non funziona, forse Vivaldi… no, meglio Valli» pare abbia detto Bonnard.

 

Quel nome avrebbe portato fortuna, tanto che dieci anni dopo nei film hollywoodiani sarebbe stata conosciuta semplicemente come “Valli”. L’affascinante ragazza porta con sé una storia simile a quella del suo personaggio, la giovane Florinda aspirante attrice che, su un treno per Roma con la speranza di essere scritturata, incontra l’illusionista Pompeo Darly e ne diventa la partner sulle scene, nei panni leggeri della bella Sulamita. Anche quella “fanciulla” dall’«incantevole figura e la fresca grazia», come scrive subito Giacomo Debenedetti, aveva preso un treno da Como poco più di un anno prima inseguendo il sogno di recitare. Era la primavera del 1936 e l’impaziente, bellissima quindicenne dall’aspetto insolito nell’Italia di allora – occhi e capelli chiari, slanciata, un aspetto più maturo della sua età – si era iscritta al neonato Centro sperimentale di cinematografia, inaugurato solo l’anno prima.

 

Presto avrebbe fatto il suo debutto, ne “I due sergenti” dell’esperto Enrico Guazzoni (suo il primo “Quo vadis?” muto), dove per la prima (e unica volta) nei titoli di testa sarebbe passato il nome di Alida Altenburger. A questo punto bisogna andare all’indietro per capire da dove veniva quella ragazza affascinante e grintosa (e talentuosa) con un cognome teutonico che andava italianizzato in quella metà anni ’30 autarchica, di illusioni, di fragili imperi coloniali e distrazioni di massa. Tra le quali la principale è il cinema con le popolari commedie dei “telefoni bianchi”, spesso ambientate in appartamenti dove sono in bella mostra grandi apparecchi telefonici simbolo di un raggiunto benessere.

 

Alida Maria Laura Altenburger von Markenstein Freuenberg (baronessa del Sacro romano impero della nazione germanica) nasce a Pola, nell’Istria italiana solo da due anni, il 31 maggio 1921. Una cittadina di mare in un crogiuolo di culture, dove suo padre Gino è stato mandato a insegnare filosofia al liceo Giosuè Carducci. Là il barone nato a Trento nel 1878, laureato all’università di Vienna, conosce una donna molto più giovane di lui (è del 1896), Silvia Obrekar. «Una bella ragazza, nata in quella città da padre jugoslavo e madre polese» dirà la figlia. Un anno e mezzo dopo il matrimonio arriva, contro le aspettative di un maschio, una bambina che avrebbe dovuto chiamarsi Ester. Invece… «Fortunatamente mio padre, molto saggio, scoprì o forse inventò il nome per me: Alida. Questo è il mio nome e a me piace». «Credo di aver rappresentato per il mio prossimo, fin da allora, una delusione» confessò anni dopo l’attrice già affermata, definendosi «matta come vuole il mio segno», Gemelli con ascendente Pesci.

 

L’abitazione di famiglia è abbastanza centrale, dietro a Porta Aurea (o Arco dei Sergi), non distante dall’Arena romana simbolo della città e tuttora sede di un festival dal passato glorioso. Era la rassegna annuale del cinema jugoslavo, tanto cara a Tito negli anni ’60 e ’70 quando il presidente comunista amava circondarsi di star del cinema (da Liz Taylor a Richard Burton a Orson Welles), oggi lo è per la Croazia. E’ il padre la figura di riferimento di questi anni. La figlia lo ricorda allora come «un giovane altissimo, bruno, con gli occhi azzurri chiari, di quelli tanto azzurri e tanto chiari che sembra di poter vedere dall’altra parte il cielo». Critico teatrale per il “Corriere istriano”, organizzatore di spettacoli (anche a sue spese, tanto da rimetterci i soldi di un’eredità).

 

Nicola Falcinella

“Il Piccolo” 14 dicembre 2011

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