a cura di Roberto Palisca
Era da tanto che avevamo sentito parlare di una grotta enorme che si doveva trovare nelle campagne della bassa Istria tra il paese di Marzana e quello di Pinezici, ma non eravamo mai riusciti a trovarla nonostante avessimo chiesto in giro diverse volte. Poi successe che un giorno, mentre viaggiavamo sulla strada che da Dignano porta appunto a Marzana, ad un tratto dovemmo rallentare la macchina e poi fermarci a causa di una decina di vacche, con tanto di toro nerboruto, che avevano completamente invaso la strada. Fu a questo punto che chiedemmo al – chiamiamolo pastore – se per caso sapesse dove fosse situata quella famosa grotta. Egli dapprima fece spallucce, poi tossicchiò e con la mano sui baffoni rispose caustico:
– Cercate forse la grotta del diavolo? Allora dovete andare verso Krvavici, verso stanzia Matiš e poi chiedere là.
A questo punto si fece avanti un tale che se ne stava con una vanga in mano sul portoncino dell’orto che si estendeva davanti a una bella casa dipinta di un bel giallo canarino. Fu lui che ci fece un cenno, ci invitò a parcheggiare la macchina dicendoci gentile:
– Voi di sicuro cercate la grotta di Ljubic. Se volete, vi porto io perché è difficile trovarla.
La vecchia Polo
Successe proprio una cosa che non ci aspettavamo. Tirò fori da una sua bella baracca di legno una vecchia Polo, ci fece accomodare e senza dire altro si mise al volante e avviò la macchina. Venimmo a sapere poi che era un pensionato, che si chiamava Ive Marovic e che aveva lavorato quale ingegnere navale allo “Scoglio Olivi” di Pola. Non solo, ci disse anche che non potevamo trovare una guida migliore perché ancora da ragazzo lui era stato più volte in quella grotta e di recente si era pure molto interessato, anzi aveva anche seguito i lavori di certi studiosi che erano arrivati dal Museo archeologico dell’Istria con l’intenzione di fare degli scavi onde conoscere meglio quel sito, secondo loro molto interessante e non ancora sufficientemente esplorato.
Le note di sior Ive
Mentre la vecchia automobile s’infilava entro stretti sentieri e poi per campi quasi abbandonati, sior Ive non cessò un attimo di parlare:
– Eh, sì, sono venuti dal Museo archeologico di Pola e da quel che mi hanno detto con loro sta collaborando anche il Museo di storia e antropologia di Monaco, i cui specialisti sono particolarmente interessati a questa grotta in quanto dalle loro parti se ne troverebbe una uguale e vorrebbero dunque farne delle equiparazioni. Anzi pare che alla fine dei lavori – che da quel che ho sentito pare dureranno addirittura diversi anni – organizzeranno una mostra speciale nella loro città.
Infilammo un tratto di folta macchia mediterranea e giungemmo in vista di alcune vecchie case prima della cosiddetta stanzia Matiš, poi dell’altra, la Ljubic, case con le finestre chiuse, alcune evidentemente da tanto abbandonate, qualche tetto crollato, le cisterne chiuse con dei robusti lucchetti. Fu una faccenda uscire dall’automobile perché subito attorniati da una muta di cani spelacchiati e ringhiosi che s’allontanarono solo quando sior Ive agguantò un palo poderoso. Ci avviammo dietro di lui lungo un sentierucolo appena segnato tra ginepri e ginestre. Egli continuò pronto il suo dire:
L’oro nella grotta
– Nell’interno della grotta per un anno intero ha lavorato una decina di persone, con attrezzi specializzati, sonde addirittura. E da quanto mi hanno detto, – vengo spesso a visitarli con un fiasco di malvasia – continueranno il prossimo anno. Comunque sono stati aiutati anche da contadini dei dintorni i quali hanno costruito una specie di recinto per evitare che qualcuno magari cadesse nel vuoto degli inghiottitoi. Anch’io li ho aiutati. Mi piace interessarmi delle faccende del nostro paesino. Quand’ero ragazzo i vecchi dicevano che dentro la grotta ci doveva essere dell’oro e credo che più di qualcuno sia andato a scavare, forse anche mio nonno. E per fortuna, da quanto ho sentito, sembra che anche il comune di Marzana si stia finalmente interessando a questa grotta. Infatti, pare si voglia aprire un sentiero turistico con tanto di segnalazioni che dalla strada regionale arriverebbe fino qui, sentiero però che, per mio conto, potrebbe danneggiare questo spettacolo della natura.
Una «bocca spalancata»
Fu quasi improvviso il trovarci davanti a quell’enorme bocca spalancata nel vuoto. Paurosa davvero. Quanti metri dal suolo al vertice superiore? Chissà, forse cinquanta, forse più. E altrettanti metri di larghezza. Nell’enorme vano il buio s’addentrava e s’infilava in due inghiottitoi che non si potevano veder bene. Infilammo il sentierino in una discesa molto ripida tenendoci, di tanto in tanto, saldamente ancorati ai cespugli vicini. Come ci avvicinammo ci parve di sentir arrivare un forte flusso d’aria fredda mentre il nostro parlare s’ingigantiva sempre più, rimbombava. Ci fermammo piuttosto sorpresi e anche preoccupati. Qualche gocciolio veniva giù dalla volta mentre l’umidità era al massimo nonostante quell’enorme apertura verso il cielo. Da un lato vedemmo del tavolame accatastato, secchi e arnesi vari in bell’ordine come se la squadra di scavatori fosse appena partita. Fu di nuovoI grandi signori delle Giulie a parlare:
Gli antichi reperti
– Qui fino a qualche giorno fa ha lavorato una decina di archeologi e di studenti mentre gli studiosi di Monaco non sono ancora arrivati perché pare siano impegnati in Mongolia. Arriveranno comunque nella prossima primavera. Finora sono stati trovati resti di reperti risalenti all’età del ferro e del bronzo, del neolitico e del paleolitico i quali, da quanto mi è stato detto dallo studioso che dirige la squadra, verranno esposti nel Museo archeologico dell’Istria. È stato anche accertato che durante le grandi migrazioni del quinto secolo, la grotta è servita quale rifugio per varie popolazioni. Però lo stesso archeologo è convinto che dei reperti siano già stati rubati perché è evidente che i fondali della grotta sono stati scavati in più punti. Suo desiderio sarebbe pure che il sito venisse completamente circondato da un alto recinto chiuso per non permettere alla gente di danneggiare ulteriormente gli scavi iniziati e anche per impedire che magari qualcuno precipiti nel vuoto.
La «porta dell’inferno»
Naturalmente, una grotta simile non poteva non far nascere delle leggende. E fu ancora sior Ive a raccontarcele, aiutato da sua moglie che al ritorno molto gentilmente ci invitò a entrare in casa per offrirci un buon caffè. Appena ci sedemmo, la nostra improvvisata guida disse pronto:
– Effettivamente la gente la chiama anche la grotta del diavolo, un nome che si tramanda credo da secoli tra i nostri contadini che non parlano volentieri del grande inghiottitoio come se fosse circondato dalla maledizione per i molti capi di bestiame che probabilmente sono finiti giù per le ripide pareti e anche perché spesso è servita a far sparire qualche persona non grata, soprattutto nei tempi antichi quando le lotte per un pezzo di terra erano molto tragiche.
Comunque la leggenda più nota e quella che racconta come il diavolo fosse giunto dalle nostre parti per aprire l’entrata dell’inferno. Ed ecco quindi che prese a ingaggiare tutti i peccatori – e pare ce ne siano stati tanti – e li abbia obbligati a scavare e scavare nella cruda roccia. Questi poveracci non potendone più anche perché il demonio aveva una lunga frusta e menava colpi a chi non lavorava sodo, a un tratto si misero a pregare tutti in coro. Tanto pregarono e pregarono che il cielo s’aperse improvvisamente e apparve l’arcangelo Gabriele il quale non ci stette a pensare due volte e impietosito, con soltanto un cenno aprì la terra, vi fece sprofondare il maledetto diavolaccio il quale, a detta dei vecchi contadini, quando soffia la bora si sente ancora urlare dall’interno della grande grotta.
La mazza e la catena
A questo punto si fece avanti la siora Fuma. Il suo dire non era proprio perfetto come quello del marito, tuttavia volle anche lei raccontare una leggenda che risaliva ai tempi della sua bisnonna la quale la usava raccontare nelle sere d’inverno quando i ragazzi si radunavano sulla panchetta attorno al fuoco perché allora non c’era la televisione.
– A Marzana una volta vivevano due fratelli. Uno era contadino e l’altro fabbro. Un giorno che tutti e due lavoravano sodo, uno sui campi e l’altro nella sua officina, la loro sorella sparì da casa. Non appena arrivarono per il pranzo se ne accorsero ed entrambi si misero alla sua ricerca. Incontrarono per strada una vecchina la quale disse loro che il diavolo l’aveva portata via, l’aveva portata dentro la grande grotta. Il fabbro, che era il più forte, si calò subito all’interno e infatti vide la poveretta che piangeva davanti ad diavolaccio che sogghignava soddisfatto. Risalito in fretta disse deciso: “Costruirò una mazza di due quintali per pestare quel lazzarone e una grossa catena per imprigionarlo”. Detto, fatto. Appena tutto fu pronto caricarono mazza e catena sul carro, attaccarono gli asini e in tutta fretta si precipitarono a salvare la sorella. Calatisi sul fondo della grotta affrontarono il satanasso. Gli menarono tanti di quei colpi poderosi che persino le pareti tremarono. Una volta steso lo incatenarono, afferrarono la sorella e risalirono in superficie. E il diavolo? Il diavolo da quella volta è rimasto incatenato sul fondo e per sentirlo ruggire basta buttare un sasso dentro uno degli inghiottitoi.
Partimmo dalla casa di siora Fuma e sior Ive anche con un bel regalo: un grappolone di dolcissimi cachi.