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Altolà alla “marcia europea” della Bosnia (Il Piccolo 13feb13)

Bosnia-Erzegovia, ossia, lo Stato che non c’è. I ministri di governo si incontrano nei migliori ristoranti di Sarajevo per “discutere”, mentre il Parlamento ha perso qualsiasi valore istituzionale con i deputati pagati solamente per alzare il braccio quando e se lo ordina il partito. Prima della guerra il problema della Bosnia è che molti andavano a cercare la propria opinione al Comitato centrale della Lega dei comunisti di Jugoslavia. Oggi il problema della Bosnia è che ci sono troppi Comitati centrali e che quasi tutti vanno a cercare la propria opinione nei Comitati centrali dei rispettivi partiti.

Sono rari quelli come il vicepresidente della Spd Bih, Željko Komšic che vogliono pensare con la propria testa e che, proprio per questo, se ne è andato dal partito. E della situazione catastrofica se ne sono accorti, finalmente, anche l’Unione europea e gli Stati Uniti al punto di dare un chiarissimo ultimatum a Sarajevo: o si approvano le modifiche costituzionali relative alla sentenza di condanna del Tribunale di Strasburgo per i diritti dell’uomo e relativa al cosiddetto caso “Sejdic-Finci”, un rom e un ebreo che si sono rivolti ai giudici europei, oppure il Trattato di associazione e stabilizzazione con l’Ue rimarrà “congelato” fino al 2015. La sentenza di Strasburgo impone alla Bosnia-Erzegovina, tra l’altro, di trasformare la tripartita presidenza (bosgnacchi, serbi e croati) in quadripartita assegnando un posto anche alle minoranze le quali acquisiscono di fatto pieno diritto di essere elettori ed eletti a ogni carica istituzionale della Federazione.

La comunità internazionale ha deciso di non tollerare più la perpetua instabilità politica ed è pronta, se le cose non cambieranno, a non riconoscere l’esito delle elezioni politiche previste per l’ottobre del prossimo anno. Il paradosso però è che l’attuazione della sentenza relativa al caso “Sejdic-Finci” non è il problema più grave che attanaglia il Paese. Il “cancro” che sta minando le basi istituzionali così faticosamente gettate a Dayton nel 1995 va ricercato nella conflittualità partitica che rende ingovernabile il Paese. Conflittualità partitica e non politica perché le liti che imperversano da anni nei palazzi del potere di Sarajevo non riguardano quella che dovrebbe essere la nobile arte della politica, dell’amministrazione della res publica, ma semplicemente un’occupazione delle poltrone di potere che a Sarajevo sono immancabilmente sinonimo di soldi e affari quasi mai leciti, non sempre chiari.

Unione europea, con il suo rappresentante per la Bosnia, Peter Sorensen e Stati Uniti, con il suo ambasciatore a Sarajevo, Patrick Moon, cercano di scuotere i protagonisti politici bosnaico-erzegovesi i quali però non vogliono cambiare nulla. Loro vivono e proliferano solo in questo eco-sistema marcio e inquinato dagli scoli reflui dell’ideologia etnica.

Mauro Manzin
“Il Piccolo” 13 febbraio 2013

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