“Nel nome di Norma”, volume di Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni edito per Solfanelli, ha concluso il ciclo di presentazioni al teatro Verdi iniziato a febbraio e organizzato dall’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Al centro del dibattito, al quale ha partecipato l’autrice, presentata dal presidente del sodalizio, Rodolfo Ziberna, la tragica storia di uno dei più noti simboli delle vicende giuliano-dalmate: Norma Cossetto, studentessa universitaria istriana che venne a lungo e barbaramente seviziata, uccisa e gettata in una foiba tra il 4 e il 5 ottobre del 1943.
La sua morte sarà purtroppo solo l’inizio di un tragico susseguirsi di violenze, perpetuate alla fine della seconda guerra mondiale, che riguardarono un numero ancora dibattuto di vittime, (si parla di circa 5 mila) prevalentemente italiane o comunque invise al regime comunista jugoslavo. Nel volume vengono soprattutto fatti parlare i testimoni, con l’intento -spiega la ricercatrice Mondoni – di far prevalere «i fatti storici che hanno colpito un lembo d’Italia che iniziò il proprio calvario alla fine della seconda guerra mondiale, quando le grandi potenze liberatrici erano intente a spartirsi l’Europa seguendo le ciniche regole della ragion di Stato, calpestando i diritti dei popoli».
Nel volume viene affrontato un nodo cruciale dell’intera vicenda istriana di quell’epoca: «Le foibe non furono una diretta conseguenza del fascismo». A raccontarlo, le interviste a Licia Cossetto, sorella della vittima, ma anche i cenni e i documenti riferiti all’occupazione di Trieste, alle condizioni politiche di Fiume e Zara, come all’odierno Giorno del ricordo e ad altri aspetti che offrono un inquadramento storico da un punto di vista particolare.
Rossana Mondoni è, infatti, figlia di un deportato antifascista e come testimone “diretta” di una Shoa svelata, della quale tutti sono ormai consapevoli, parla del mistero che ancora avvolge questa sorta di icona giuliano-dalmata-italiana. «Una storia ancora non adeguatamente rappresentata – ha ricordato Ziberna – visto che l’80% degli italiani non ha idea di cosa sia esattamente una foiba e ancora meno conosce non solo la fine della ragazza, allora 23enne, ma nemmeno che fu torturata, più che dai titini, da comunisti italiani che avevano dei conti da regolare con i Cossetto e il Fascismo in quelle terre».
Il rimando alla precedente dittatura italiana ritorna, ma quello che qui si cerca è l’ammissione che Norma fu un tassello simbolico, nella sua gravità, di una pulizia etnica accertata, avvenuta col consenso e l’avallo quasi tacito delle superpotenze e degli alleati.
Emanuela Masseria
(courtesy MLH)