Giovedì 28 ottobre si è tenuto a Villadose un convegno promosso dall’ANPI e dall’Associazione Fiume. Ha partecipato Eric Gobetti, autore del libro “E allora le foibe? “
L’ANPI riesce molto spesso a sorprendere poiché non si ricorda che nella Venezia Giulia (Istria compresa) non tutti i partigiani si battevano per l’annessione alla Jugoslavia di Tito. Il moto era: <opporsi al nazifascismo, qualunque fosse il fronte di lotta, sino al suo abbattimento>, la questione dell’annessione doveva essere affrontata a guerra finita. In realtà tra il 4 e l’11 febbraio 1945 a Yalta, nel corso della conferenza che vide protagonisti Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin (capi rispettivamente dei governi degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito e dell’Unione Sovietica), prevalse definitivamente la linea inglese favorevole al maresciallo Tito. Guarda caso in quei giorni (7-18 febbraio) a Porzus vennero ammazzati i Partigiani della Osoppo (formazione di orientamento cattolico e laico-socialista) per mano di un gruppo di Partigiani – in prevalenza gappisti – appartenenti al Partito Comunista Italiano. <Collaborazione si, sottomissione no> era il motto della Osoppo, che non intendeva sottomettersi alle formazioni partigiane slovene, come invece era stato ordinato. Tra i partigiani che si battevano per la liberazione dell’Istria italiana, ricordiamo il professore Giuseppe Callegarini, laureatosi in geografia all’Università di Padova a fine anni ’30 con il prof. Arrigo Lorenzi, lo stesso con cui Norma Cossetto stava preparando la sua tesi di laurea nell’estate del ’43. Fu ammazzato a Pola si dice dai nazifascisti nel dicembre del 1944, di certo il suo corpo non è mai stato trovato. La sua figura è stata ricordata a Mestre giovedì 1 febbraio 2018 nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo in uno specifico convegno promosso dall’Anpi stesso e dall’Isver intitolato: “Due martiri veneziani della Resistenza istriana: il medico Angelo Coatto e il professore Giuseppe Callegarini”.
Quanto al vicentino dott. Angelo Coatto, pur esercitando la professione di medico ospedaliero, aderì alle formazioni partigiane prima in Liguria, poi a Venezia, infine dal marzo del 1944 a Pola, dove operò come dirigente del reparto neurologico. Costretto a darsi alla macchia, si presentò al Comando della LPL della bassa Istria e continuò la sua opera di medico, clandestino, e combattente. Catturato da un gruppo di fascisti nel corso di un rastrellamento il 16 settembre, venne impiccato assieme ad altri venti partigiani il 2 ottobre 1944. Nel 1985, a quarant’anni dall’eccidio, un giorno a Pola Claudio Radin, tra l’altro membro del comitato di redazione del Centro Ricerche Storiche di Rovigno, chiese al vecchio militante comunista Giacomo Urbinz:
Il dott. Coatto era comunista o cos’era? Mi guardò assorto, come se un pensiero lo tormentasse: Lo conoscevo bene – rispose – e secondo la nostra etica penso che il dottore non era comunista ma limpidissimo antifascista. È stato un luminoso esempio per tutti noi. Quale italiano è una Medaglia d’Oro mancata. Quale caduto in terra istriana andrebbe ricordato fra gli eletti della LPL in modo imperituro!
Rispetto all’intervento del prof. Gobetti, troviamo triste che uno storico riduca i fatti del settembre del ‘43 e del ’45 a meri numeri il cui totale forse non avrà mai certezza. Di certo nel ’43 furono circa 500 le denunce delle persone scomparse, ma quanti militari italiani sbandati dopo l’8 settembre furono ammazzati mentre cercavano di raggiungere i loro paesi in Italia i cui familiari non presentarono denuncia di scomparsa in Istria? Sarebbe interessante ottenere dall’Archivio di Pisino i documenti dell’Archivio della Prefettura dell’Istria, operante fino al 1945. Sarebbe anche importante ottenere i documenti dell’Archivio dei pompieri di Pola, che eseguirono il recupero dei poveri resti dall’ottobre del 1943 al febbraio del 1945. Probabilmente anche questo si trova a Pisino, se non è ancora a Pola, poiché gli archivi degli Enti pubblici sono rimasti in Jugoslavia.
E i morti di Zara? Di loro è impossibile trovare traccia, venivano gettati in mare con una pietra al collo, così nelle isole e lungo il litorale.
A proposito di Fiume richiamiamo un trafiletto pubblicato il 21 aprile 1945 da ‘La nostra lotta – organo del F.P.L. di Pola. Si legge: << L’ITALIA NON HA TITO – Nel secondo congresso del Partito Comunista Italiano, Togliatti ha dichiarato tra l’altro che l’Italia non ha un suo Tito>>. Vero, ma dal 1922 FIUME AVEVA IN ESILIO RICCARDO ZANELLA, capo del Partito autonomista fiumano e Presidente dello Stato Libero di Fiume. Lo Stato Libero di Fiume, che esistette de facto un anno e de iure quattro anni, era stato subito riconosciuto da tutti i principali Paesi, inclusi gli Stati Uniti d’America, la Francia e il Regno Unito. Zanella venne eletto democraticamente il 5 ottobre del 1921 e costretto alle dimissioni il 3 marzo del 1922. Rifugiatosi prima a Belgrado poi a Parigi, Zanella era contrario all’annessione di Fiume alla Jugoslavia e nel 1945 chiese alle Nazioni Unite e al Consiglio dei Ministri degli Esteri di restaurare lo Stato Libero di Fiume: la ‘prima vittima’ del regime fascista. Non solo non ottenne ascolto, bensì tra il 4 maggio al 30 dicembre 1945 i suoi seguaci furono ammazzati dall’Ozna (Dipartimento per la Protezione del Popolo, parte dei servizi segreti militari jugoslavi), assieme ad altri antifascisti italiani non appartenenti al partito comunista: repubblicani, popolari, socialisti. In quel lasso di tempo (4 maggio-30 dicembre 1945) nella sola area di Fiume ben 570 italiani furono infoibati, o gettati in fosse comuni, o annegati in mare, come attestato dalla ricerca italo-croata sulle vittime italiane a Fiume e dintorni (1939-1947) a cura della Società di studi fiumani di Roma e dell’Istituto Croato per la Storia di Zagabria, a firma di Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski (2002). Ecco uno dei modi posti in essere dal regime titino per trasformare una maggioranza in minoranza. Anche questi sono numeri da tenere in debita considerazione. Le uccisioni continuarono a guerra finita, una per tutte la strage sulla spiaggia di Vergarolla del 18 agosto 1946. I morti identificati furono 65, i resti ritrovati corrispondevano a 109 o 110 o 116 diversi cadaveri, e 211 furono i feriti. Quasi un terzo erano bambini o avevano meno di 18 anni. Erano bagnati e sportivi che dovevano partecipare a una gara di nuoto. Oh combinazione una settimana prima Alcide De Gasperi era riuscito a toccare il cuore degli Alleati con il suo intervento a Parigi.
Spiace dissentire, infine, con la conclusione di Maria Chiara Fabian, secondo la quale <La giornata del ricordo è parziale e ricorda solo alcuni morti nascondendone altri che meritano la stessa pietà>. Richiamiamo il testo di legge: «1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.>>. È una legge che celebra tutte le vittime delle foibe, quindi comprende anche gli sloveni. Quante sono le vittime slovene delle foibe? Ad oggi si scoprono nuove fosse comuni. A titolo esemplificativo ricordiamo il rinvenimento dell’agosto 2020 nella zona del Kočevski Rog. Vennero fucilati nell’autunno del 1945. Si legge su La Voce del Popolo (quotidiano di lingua italiana che si stampa a Fiume/Rijeka del 31 agosto 2020:
Tutto documentato da fotografie, che raccontano la tragedia delle esecuzioni sommarie commesse nel dopoguerra dagli appartenenti alle formazioni comuniste dell’allora Jugoslavia sulle quali per lunghi anni regnò il silenzio. Una coltre che a partire dagli anni 90 si è andata sfasciando anche grazie alle ricerche messe in atto dagli organi competenti sia in Slovenia sia in Croazia.
ANVGD – Delegazione di Rovigo
Patrizia Lucchi Vedaldi, Daniele Milan, Floriano Cosmi, Flavio Ambroglini, Giuseppe Bonfiglio e Bruno Malaspina