Al momento dei saluti, scattano le promesse: ci rivediamo a Trieste. Da Chatham, dove hanno avuto luogo le manifestazioni in ricordo dei cinquant’anni dell’arrivo in loco degli istriani, la città giuliana sembra dietro l’angolo, anzi è un’estensione della loro realtà, del quotidiano. La modernità, spesso imputata di aver sconvolto i ritmi dell’esistenza, in questo caso è la salvezza: si comunica via internet in tempo reale, nell’arco di una giornata si riesce a raggiungere l’Europa, viaggiare è un’abitudine senza l’ansia delle distanze.
Le famiglie istriane sono fiere di sapere che i loro figli partecipano agli stages organizzati nel FVG dall’Associazione Giuliani nel Mondo, qualcuno dei ragazzi, dopo la laurea, ha fatto delle esperienze lavorative a Trieste. Ma trovare un impiego stabile ben pagato è molto difficile, il Canada, in questo senso, offre tante possibilità, meglio quindi rientrare e relegare alla sfera delle vacanze i viaggi verso le nostre terre che piacciono, tanto, a tutti i giovani.
E’ dedicata all’Italia una delle birrerie più frequentate di Chatham con immagini di Venezia e scorci di vita peninsulare, si beve e si canta “Co’ son lontan de ti Trieste mia” con i giovani, i figli degli istriani che arrivarono qui cinquant’anni fa, ma anche con le mogli dei primi nati in Canada. Provengono da Paesi come la Cechia ma conoscono le nostre canzoni: magia dell’incontro e del rispetto delle reciproche culture di cui spesso manca testimonianza proprio nei nostri territori. Altrove, nei matrimoni misti sovente prevale la lingua del coniuge del gruppo di maggioranza. Qui non c’è una maggioranza, ma solo uomini liberi in un Paese accogliente.
Eppure, gli Italiani hanno difficoltà a rapportarsi con la politica. Sono rari gli esempi di connazionali che hanno raggiunto i vertici nelle istituzioni del Paese. Lo diceva, ad uno degli incontri dei giuliano-dalmati, una parlamentare di origini italiane.
A guardarci intorno, non è solo un fenomeno canadese. Diciamoci la verità, la nostra gente se non è costretta, preferisce prendere altre strade: quelle della cultura, per esempio, dell’insegnamento, o delle professioni che permettono comunque di rimanere vicini alla famiglia. Ed è forse quest’ultima la loro e nostra vera vocazione.
La politica ha provocato troppi danni, spesso viene identificata con l’ideologia, con i doveri comunque imposti dai partiti, con le decisioni arbitrarie – come dopo la seconda guerra mondiale – prese dagli Stati, meglio stare alla larga. La scelta degli studi di economia è più consona invece agli insegnamenti della famiglia, come a dire che, per vivere bene in un Paese, e nel mondo, bisogna innanzitutto conoscere le regole del buon funzionamento delle regole economiche. Non è forse così che si sono fatti strada i giuliano-dalmati, adeguandosi alle logiche produttive del Paese, fornendo soluzioni concrete alle necessità di una società in piena crescita, rimboccandosi le maniche – come tengono a sottolineare – facendosi rispettare dagli altri?
“Brava gente gli istriani” – l’hanno ripetuto tutti durante gli incontri, a sottolineare con orgoglio il contributo che sono riusciti a dare alla crescita reale del Paese e questo basta a renderli preziosi per la comunità, appagati a loro volta della strada intrapresa.
Lontano dall’Italia, anche la vicenda dei beni abbandonati appare sbiadita. Raccogliamo testimonianza di genti che hanno rinunciato in favore dei parenti alla richiesta di risarcimento. “Non ne abbiamo bisogno – affermano – qui abbiamo trovato tutto ciò di cui avevamo necessità”.
Niente nostalgia, niente rivendicazioni, gli esuli-emigranti hanno “bruciato le navi” – come suggeriva Colombo per poter conquistare veramente una terra, anche a se stessi.
Ciò che vorrebbero, ora, è di poter esplorare nuovamente la loro terra ma accompagnati da qualcuno che possa spiegare tutto ciò che non è parte diretta della sfera della loro conoscenza pregressa. Molti, emigrati ancora bambini, conoscono marginalmente le terre di provenienza che sono, alla fine, una proiezione dei racconti fatti in casa. E’ il momento – per molti di loro – di ritornare quasi da turisti per capire ciò che la loro terra ha ancora da comunicare attraverso una conoscenza fatta di destinazioni culturali, di incontri con la gente del luogo, alla scoperta delle nuove realtà. Un altro mondo – è il commento che viene spontaneo. Ed in questo spazio è possibile avviare nuovi rapporti, sentire nuovi legami, sperimentare i segmenti di quella cultura atavica che ci riunisce in un unico popolo giuliano-dalmato sparso nel mondo, che improvvisamente esiste, e non solo nei desideri, e si materializza nell’affetto delle persone mature e nella curiosità di tanti giovani entusiasti di ciò che sono.
Rosanna Turcinovich Giuricin