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arcipelagoadriatico.it – 121107 – Liberare la memoria dall’odio

di Carmen Palazzolo Debianchi

La liberazione della memoria dall’odio per i misfatti compiuti nel passato è un concetto che fa parte della bolla di indizione dell’Anno Santo 2000 “Incarnationis mysterium”, promulgata dal papa Giovanni Paolo II.
L’argomento fu studiato da una Commissione Teologica Internazionale del Vaticano, che produsse su di esso un documento di 31 pagine, secondo il quale la purificazione della memoria consiste nel processo volto a liberare la coscienza personale e collettiva da tutte le forme di risentimento o di violenza che l’eredità di colpe del passato può avervi lasciato.
Questo processo avviene

1. con una coscenza dei fatti non basata sulla memorialistica, spesso sovraccarica di un’emotività passionale che impedisce la diagnosi serena ed obiettiva,  ma tramite la conoscenza e la valutazione dello storico, a cui si chiede, non un giudizio etico ma la ricostruzione degli avvenimenti, degli usi, della mentalità cioè del contesto in cui si sono svolti gli eventi, che eviti sia un’apologetica che tutto voglia giustificare sia una colpevolizzazione indebita, in quanto fondata su responsabilità storicamente insostenibili.
La conoscenza storica è indispensabile per comprendere i fatti accaduti, cioè per cogliere il loro reale significato. Solo così il passato può schiudere le sue potenzialità per modificare il presente e la memoria diventare capace di suscitare nuovo futuro.
Ma non basta! Bisogna anche rompere la catena dell’odio che crea un legame negativo del presente col passato impedendo di costruire, di allacciare rapporti positivi, di guardare avanti.
 
2. Una volta acquisita un’adeguata conoscenza storica dei fatti, occorre riconoscere le proprie colpe, perché solo questo riconoscimento può contribuire a un reale cammino di riconciliazione.
Il documento fa una lunga e particolareggiata analisi sulla colpa che si può riassumere nell’osservazione che, di solito, il riconoscimento di una colpa è considerato segno di debolezza, è unilaterale ma, soprattutto, questo gruppo di esperti ecclesiastici si chiede in che misura i viventi di oggi possono essere considerati colpevoli dei crimini compiuti dai loro predecessori (vedi Crociate, Inquisizione,… ) perché è fin troppo facile giudicare i crimini del passato con la coscienza del presente.

3. Riconosciute le proprie colpe – che equivale, per i cattolici, al sacramento della confessione – bisogna chiedere perdono per i peccati commessi.

4. Chiedere perdono implica un’ammissione di responsabilità per una colpa commessa verso altri, che può essere oggettiva o soggettiva.
La responsabilità soggettiva riguarda la persona che ha compiuto l’atto e cessa con la sua morte; quella oggettiva riguarda l’atto in se stesso, in quanto buono o cattivo, la responsabilità per esso continua nella storia, le singole persone possono aderirvi o meno ma il male fatto sopravvive a chi l’ha fatto attraverso le conseguenze dei suoi comportamenti, che possono diventare un fardello pesante sulla coscienza e memoria dei discendenti. Questo fardello costituisce però anche una memoria comune, che unisce il colpito al colpevole, il passato al presente, ma li unisce in maniera negativa inquinando i rapporti.
E’ una cosa da cui ci si libera solo chiedendo perdono a Dio per le colpe del passato, quindi con la purificazione della memoria, che culmina col reciproco perdono delle offese nel presente.

Questo, il messaggio della Chiesa Cattolica.
Possiamo darne anche un’interpretazione “laica” e calarlo nella realtà di noi esuli giuliani, fiumani e dalmati?
A mio avviso, ciò che da questo discorso della Chiesa è trasferibile nella nostra realtà sono alcuni concetti, quali il fatto
– che la conoscenza storica dei fatti è indispensabile
– che essa – che costituisce la memoria – non basta; essa è soltanto il punto di partenza in quanto bisogna vedere qual è la memoria che tramandiamo perché, se è infarcita di rancore, di odio, di desiderio di vendetta, è una memoria negativa che non potrà che avere delle ripercussioni negative anche nel presente e nell’avvenire. Deve dunque essere – come dice la Chiesa – una memoria purificata dall’odio, perché solo così si può guardare costruttivamente al futuro.
Quel che è accaduto fa ormai parte della storia, e ad essa va consegnato.
E i torti, i danni che abbiamo subito?
I danni andrebbero risarciti. E’ un discorso annoso, di cui tutti conosciamo la lunga e difficile storia e che, secondo me, andrà a buon fine in modo più veloce e positivo se saremo uniti.
Ma, consentitemi ancora di porre una domanda: “Se questo riconoscimento dei torti ed il risarcimento dei danni subiti non avvengono, cosa facciamo? Rimaniamo in quieta attesa finché non avvengono, facciamo una guerra per ottenere ragione…”
Intendo come popolo italiano, perché privatamente le persone hanno già risolto queste questioni come sapevano e potevano.
Verso tutto ciò che riguarda le nostre terre natie e chi le abita, io colgo ancora in molti di noi non accettazione della realtà, molta asprezza se non peggio e, nel mondo del nostro associazionismo, poco rispetto per gli altri e per le loro idee e tanta, antidemocratica, intolleranza verso idee diverse dalle nostre. Questa mancanza di rispetto per gli altri e le loro idee, questa intolleranza sono, a mio avviso, unite alla smania di protagonismo, di potere, ed altro, alla base delle disunioni che alla fine ci danneggiano tutti.
Penso che dobbiamo cogliere anche quanto avviene di positivo, come le denunce dei crimini titini che la Chiesa croata ha effettuato l’estate scorsa attraverso alle parole dei vescovi mons. Zupan, mons. Bosanic’ e mons. Mile Bogovic’.
Quindi qualcosa si sta muovendo,
anche se poi abbiamo il Presidente croato Mesic’ che continua a fare affermazioni di stampo nazionalistico e storicamente inesatte che gli esuli dovrebbero essere i primi a rilevare e a far notare all’Italia tutta e al mondo intero, ma non i singoli, come lodevolmente fa qualcuno, ma un’organizzazione che li rappresenti tutti e che, nel tempo, si affermi e acquisti credito in Italia e all’estero come tale.

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