Se esiste qualcuno capace di sdrammatizzare una cerimonia a Trieste, quel qualcuno è sicuramente Ottavio Missoni, accolto fastosamente ieri nella sala del Consiglio comunale per ricevere la cittadinanza onoraria da parte del Sindaco Roberto Dipiazza. Si è trattato di un riconoscimento raro per le abitudini della città, concesso per i meriti particolari di un esule dalmata zaratino che è stato capace di costruirsi una solida fama mondiale, prima nello sport e dopo nella moda, un uomo che condivide con Trieste “lo stesso dialetto, lo stesso mare e lo stesso turpiloquio”. O forse lo condivide con il “capoluogo dalmata” perché, dice il vecchio Tai “ noi zaratini non eravamo legati tanto a Venezia quanto a Trieste, la stessa città che ci ha accolto come esuli e ancor prima come armatori e capitani”.
Tra le motivazioni lette dal Sindaco Roberto Dipiazza dinnanzi all’intero corpo consigliare, riunito per una sessione tra l’ordinario e lo straordinario, Missoni si è visto riconoscere la cittadinanza “in nome dell’alto merito dei risultati raggiunti nel settore della moda, affermando un marchio in tutto il mondo sinonimo di stile, eleganza e fantasia. Ma soprattutto, in considerazione di una vita segnata dall’esodo dalla nativa Dalmazia, che ha forgiato un uomo vincente dapprima nel mondo dello sport e poi in quello dell’impresa”.
Poco dopo la lettura delle motivazioni Missoni inizia a raccontare la sua storia di vita e il suo amore per la città, con parole che suonano come un discorso fatto ad un gruppo di vecchi amici, per qualche motivo costretti ad indossare i paramenti sacri della burocrazia civile. In realtà fin da subito tutti si commuovono e ridono alla sua spontaneità, una caratteristica che può permettersi di esternare senza freno per aver saputo incidere il reale con qualcosa di genuino, attraverso un personale percorso a zig-zag, che tutti possono, a ragione, riconoscere e invidiare. Un uomo che ha vissuto la prigionia e l’esodo e che ricorda le terre adriatiche solo con l’affetto dell’appartenenza e con il ricordo delle gioie della giovinezza, degli esordi, degli allenamenti sportivi a san Sabba. In nessuna delle sue tante sfumature troveremo mai qualcosa di cupo, ma è facile rintracciare tra le sue tante espressioni vivaci e gergali la commozione di essersi ritrovato veramente triestino, alla fine. Un riconoscimento che lo fa sorridere di fronte alla moglie Rosita Jelmini, presente in sala, che “si meriterebbe per prima di ricevere un premio, come ci è già capitato all’estero. In Italia mi hanno fatto Cavaliere del Lavoro: A mi?! No gò mai capì come – ha affermato Missoni divertito, sapendo di dover molto di sé stesso e del suo lavoro all’operosa moglie con la quale aprì il primo laboratorio di maglieria proprio a Trieste “Quando giro per il mondo, né dà sempre un dopio riconoscimento. In Italia invece, quando che i pol, le done le sega sempre” ha rivelato divertito.
Oltre a ricevere qualcosa, il Missoni giuliano-dalmata porta sempre anche qualcosa in dono. Sicuramente un sorriso in più per una fredda mattina di febbraio, uno svelarsi leggero e informale capace di affrontare un intero consiglio comunale con un’ultima “storiaccia” triestina prima della chiusura delle celebrazioni. Bisogna immaginarsela rigorosamente in dialetto la vicenda di “Pinuccia”, pubblicata all’epoca anche dal quotidiano Il Piccolo, un piccolo aneddoto con al centro un noto omosessuale triestino di origine zaratina. Nel racconto del celebre siparietto nostrano, Pino Tomic incontra dopo molti anni, su un binario della Stazione centrale, un altro dalmata, il giocatore di basket Tullio Rokic, suo ex compagno di scuola. Una volta dissolti i dubbi sulla nuova identità di Pinuccia, lo sportivo si lagna sconsolato: “Ma che figura ci fai fare, a noi Dalmati”! “Tranquillo Tullio,”gli risponde Pinuccia “..nel mio campo sono il Numero Uno”!
Questo per dirci che ognuno si sceglie i suoi esempi nella vita, l’importante è il risultato, ed anche un po’ il vestito che siamo stati capaci di cucirgli addosso. e.m.