“Il 18 agosto 1946 è una domenica piena di sole. Sulla spiaggia di Vergarolla sono le 14. La sede della società sportiva Pietas Julia è imbandierata. Tra poco avranno inizio le gare per la coppa Scarioni. I bagnanti riposano sotto gli ombrelloni e nella frescura resinosa della vicina pineta. Ma i bambini a frotte corrono, giocano sulla spiaggia di ciottoli, ignari che sotto ai loro piedi scalzi si nascondono 28 mine antisbarco francesi, collegate fra di loro. Alle 14.15 un’esplosione solleva un uragano di sassi, di fumo, di corpi straziati, di grida. Brandelli di carne, mani e piedi mozzi vengono scaraventati in mare, schiacciati contro l'edificio della Pietas Julia. Membra sanguinanti pendono dai rami dei pini. Le schegge hanno falciato i bambini che correvano ed hanno risparmiato molti adulti che stavano sdraiati. La città, scossa dalla detonazione, accorre. I morti sono 109, ma altri moriranno per le conseguenze delle ferite riportate e ai funerali verrà aggiunta una cassa per le membra non identificate. Il chirurgo Micheletti resta nella sala operatoria dalle 15 alle 22 e non sospende il lavoro neanche quando gli dicono che in obitorio giacciono anche i corpi dei suoi due bambini, del fratello e della cognata. La tragedia solleva un'ondata di sdegno contro gli inglesi i quali, avendo assunto l’amministrazione della città da oltre un anno, avrebbero dovuto togliere le mine o proibire l’accesso alla spiaggia”.
Questa la cronaca di quella giornata, riportata in alcuni libri di memorie. Ci sono voluti anni perché la popolazione locale, gli italiani residenti insieme alle delegazioni degli esuli, decidessero di porre un cippo a memoria dell’accaduto per ricordare quanto era avvenuto.
Ma da allora, ogni anno a Pola, si svolge la cerimonia di commemorazione delle vittime davanti al cippo che ricorda l'avvenimento sul quale vengono deposte corone di fiori. Eppure non c’è catarsi in questo nobile gesto. L’indagine sulla portata di quella tragedia che, il 18 agosto 1946 scosse Pola e l’Istria e diede, di fatto, l’avvio all’esodo in massa della popolazione, è ancora sospesa in un’attesa frustrante per chi anela a conoscere la verità.
Per Livio Dorigo, polese, Presidente del Circolo Istria, “i fatti di Vargarolla dimostrano chiaramente il disinteresse dell’Italia per queste terre. I servizi segreti sapevano che sarebbe successo e non fecero nulla per fermare una strage di innocenti”.
Perché la chiama Vargarolla?
“Perché è il termine che si usa in loco e perché così sta scritto nel Portolano della regia Marina”.
La gente, in quella calda giornata estiva, era andata al mare, senza sospetti, eppure qualcuno sapeva che la spiaggia era minata. Come mai?
“Le mine erano residuati della guerra appena conclusa, si credevano innocue in quanto erano state disinnescate sulla spiaggia di Pola tempo prima sotto agli occhi curiosi ed indiscreti della gente del posto, e invece esplosero, provocando una strage”.
E’ possibile intuire la verità?
“Certamente, ma per molti anni mancavano le prove, ora anche quelle lentamente si fanno strada. Nel ’46 il parlamentare giuliano Antonio De Berti s’era scagliato contro le posizioni dei polesi, non voleva suffragare la tesi del plebiscito o del diritto all'autodeterminazione dei popoli previsto dal Trattato di Pace per sostenere la politica di De Gasperi e, tanto meno accettava l’idea di costituire uno territorio autonomo lungo la linea Wilson”.
Da dove, o da chi, traeva forza Pola nel proporre queste alternative?
“Con la fine della guerra erano rientrati in città personaggi come Rusich, Benussi, Dorigo, Sepetich ed altri, che erano stati deportati e che riuscirono a salvarsi. Si fa strada per tanto una classe di dirigenti in grado di amministrare la città. Questo crea però uno scontro pesante tra la popolazione che vuole rimanere e gli inglesi impegnati a chiudere la vicenda, tra l’Italia ricattata perché ha perso la guerra e la Jugoslavia che ha tutto l’interesse di prendersi Pola”.
Morale della vicenda?
“Vargarolla decise le sorti. E’ la maggiore strage di civili che l’Italia abbia mai avuto e nessuno lo sa. L’esodo fu una diretta conseguenza di questo fatto. Dico questo perché il CLN aveva condotto un’inchiesta secondo la quale dei 32.000 abitanti di Pola, 28.000 avevano dichiarato di volersene andare se la zona fosse passata sotto la sovranità jugoslava e 70.000 erano le risposte positive nel resto dell’Istria. La deflagrazione capovolse le sorti della regione. Il Circolo Istria ha mandato una lettera al Presidente Giorgio Napolitano chiedendo che l’Italia ricordi quelle vittime innocenti di una controversia che si svolgeva altrove”.
Dopo il sondaggio, quale sarebbe dovuto essere il passo successivo deciso dal CLN?
“Era stato deciso uno sciopero generale per mandare un messaggio forte alla politica del momento, al mondo intero. Erano stati fatti arrivare via mare dall’Italia barconi pieni d’armi ma qualcuno fece la spia e scattarono gli arresti. I giochi erano già compiuti. Tutto era stato deciso, due giorni dopo la firma del Trattato del ‘47, De Berti – sordo alle voci che provenivano da Pola e nominato immediatamente sottosegretario alla Marina Mercantile – fece arrivare la nave Toscana per traghettare la popolazione spaventata in Italia, in un Paese che era sorpreso quanto noi per ciò che stava succedendo e, soprattutto impreparato a capire e ad accogliere il nostro popolo. L’Italia voleva il silenzio, e così avvenne. Ora ci si concentra sui fatti delle foibe che furono un’altra immane tragedia e si continua a tacere su Vargarolla”.
Perché, secondo lei?
“Perché i servizi segreti sapevano, l’Italia c’era in quella giornata infame e dobbiamo avere il coraggio di dirlo per dar respiro a tutte quelle famiglie che hanno dovuto convivere con la tragedia senza poter sperare in un atto di giustizia. Oggi, davanti a quel cippo, si cerca di ricordare tutte le vittime ma non è giusto mettere nello stesso calderone avvenimenti di diversa portata. Vargarolla fa ancora tremare la nostra storia, è nostro dovere portare pace”.
In che modo?
“Con un’ampia partecipazione alla commemorazione, per esempio, so che i Comuni di Muggia e Monfalcone avrebbero piacere di esserci ed attendono un esplicito invito della Comunità degli Italiani di Pola che coordina la cerimonia. Continuando il dibattito storico sull’avvenimento, abbozzato in alcuni precedenti incontri per produrre nuovo materiale che può contribuire a spiegare quanto successe. Con un riconoscimento a livello governativo italiano perché si sappia chi furono quelle vittime e perché l’Istria dovette pagare le scelte e le alleanze dell’Italia”.
Nel programma della cerimonia di quest’anno, oltre alla Santa Messa nel Duomo di Pola e la posa delle corone di fiori, ci sarà anche lo scoprimento della lapide in ricordo del medico Micheletti, benemerito cittadino di Pola. Poi, nella sede della Comunità, verranno pronunciati i discorsi di circostanza e di saluto. La sera sarà proiettato un filmato sull’esodo, il tutto si concluderà con l’esibizione della Società artistico-culturale Lino Mariani.
Rosanna Turcinovich Giuricin