du Milan Rakovac
O si, propio gavevo intuido ben, sabato scorso, scrivendo in questo mio cantonssin d’un inno ipotetico istrian e apelando per un novo congresso istriano; perché propio quel sabato a Vilenica, e giovedi a Trieste, commosso fin’in fondo, iero tra i testimoni e protagonisti d’un altra alba istriana, transfrontaliera, multiculturale, euroregionale ed europea. Sabato, premio Vilenica a Claudio Magris; momento cruciale per tutti noi, premio sloveno per un italiano; un Triestino, premio giusto e meritatissimo, dopo tanti anni, quando el stesso premio iera consegnado a Fulvio Tomizza. Due giorni prima, giovedì, sala grande al Revoltella – strapiena, con tantissima gente che stava anche in piedi, come se saria un box match (disemo, Benvenuti vs. Parlov), e invesse iera solo tre scrittori per i quali tutta Trieste iera là, con a capo el sindaco Di Piazza, con tanti sloveni de Trieste, ma anche tantissimi triestini italiani. Anni fa scrivevo che Trieste sara l’Atene dell’Alto Adriatico, e non più l’Ultima Thulae della civiltà romana. Drago Jančar disse una settimana fa che se senti nell’aria il ritorno di Trieste alle propie tradizioni cosmomopolite.
È da tantissimo tempo che da queste parti curiamo il delicato fiore della multiculturalità, e non riesco a ricordare tutti gli incontri transfrontalieri tra scrittori organizzati dalla rivista La Battana negli oramai lontani Anni ’70, né tutti gli incontri organizzati da Eros Bičić e da un gruppo di amazzoni capodistriane – Neva, Irena, Daniela…
Purtroppo gli Anni ’90 del secolo scorso saranno ricordati non soltanto per l’alba della democrazia sorta con la nascita della Croazia e della Slovenia e con la caduta del Mura di Berlino, ma anche per il risveglio dei nazionalismi di frontiera, da tutte le parti. E così anche gli eventi e le variegature culturali hanno cominciato a perdere spessore. La morte di Fulvio Tomizza ci ha destato tutti dal letargo nazional-narcisistico nel quale eravamo sprofondati. Ci siamo riuniti – noi, un gruppetto di scrittori di frontiera: Ulderico Bernardi, Nelida Milani Kruljac, Ciril Zlobec, io e ancora pochi altri –, e abbiamo deciso di fondare il Forum Tomizza. Il punto fondamentale era la piena accettazione dell’idea nata a Umago, in verità al funerale di Fulvio Tomizza. In presenza della famiglia di Tomizza, il sindaco Vlado Kraljević ed io ci siamo accordati in quattro e quattr’otto; ed oggi abbiamo alle spalle dieci anni di attività, dieci Forum, 300 scrittori e intellettuali, relatori provenienti da tutta l’Europa (soprattutto dalle nostre terre), 300 opere letterarie pervenute al concorso a premi Lapis Histriae, 300 poeti e cantanti, partecipanti ai recital e ai concerti…
Abbiamo iniziato a Umago, già l’anno successivo eravamo a Capodistria e l’anno dopo ancora a Trieste. Così il Forum Tomizza divenne un locus cooperandi metal-emotivo situato tra i nostri confini, tra le culture di popoli contermini. E un’azione simile la porta avanti anche Vilenica.
Senza falsa modestia credo di poter affermare che il Forum Tomizza abbia un ruolo fondamentale nella creazione dell’atmosfera interculturale sull’Adriatico, in particolare per quanto concerne la cultura transfrontaliera italiana, slovena e croata. Anche Vilenica ha un suo ruolo nonostante abbia guardato per anni a un territorio più ampio, alla Mitteleuropa e alla sindrome della cortina di ferro, ignorando l’area trasfrontaliera; anche se uno dei primi vincitori (l’unico fino a Magris) del premio Vilenica fu proprio Fulvio Tomizza.
Ora, qui attorno a questi confini, abbiamo sia il Forum Tomizza sia Vilenica; due manifestazioni culturali che collegano nel miglior modo possibile mondi contermini, che cancellano i confini, che spolverano il “glorioso” passato e individuano nuove strade. Ma mi preme particolarmente di richiamare l’attenzione sul nuovo corso programmatico di Vilenica. Dopo essere stato a lungo, giustamente, orientato alla valorizzazione degli scrittori dissidenti originari dai Paesi dell’Europa centrale (fatto non direttamente collegato con l’area di confine) Vilenica si è, mi sento di dire, ritrovato nel suo habitat naturale aprendo contestualmente a contenuti poetici di stampo internazionale inviando sempre più spesso gli inviti a partecipare ad autori di “piccoli” Paesi. Quest’anno c’erano autori (accanto a quelli nostrani e a quelli giunti dai grandi Paesi) provenienti dall’Albania, dall’Algeria, dall’Argentina (una giovane della diaspora slovena), dall’Austria, dalla Bosnia ed Erzegovina, dalla Bulgaria, da Cuba, dalla
Lituania, dalla Macedonia, dalla Moldavia, dalla Polonia, dalla Romania, dalla Repubblica Slovacca, dall’Ucraina… Molti meriti vanno ascritti alla giovane ricercatrice e poetessa Milijana Cunta (la sua prima raccolta di poesie sarà pubblicata in autunno!), che evidentemente non essendo ostaggio dei retaggi della tradizione, del passato, dei miti, degli stereotipi e volendo dare nuova energia a Vilenica – e proprio l’“avventura triestina” ha dimostrato che è questa la via da percorrere. Pertanto invito Vilenica ad attraversare il fiume Dragogna, proprio come ha attraversato il Soča. Perché la cultura riesce a fare quello che non riesce a nessun altro. È la cultura che ci europeizza, che ci fa superare i traumi e le frustrazioni, che ci offre la possibilità di incontrare con il fatale altro e diverso (che fino a ieri era il nemico). È proprio questa la cosa più bella che ci poteva capitare in questi tempi talmente difficili. Forse sta per arrivare il tempo della ricostruzione delle nostre esperienze collettive.
In fondo, quello che conta suono le idee e il modus operandi che metteva in atto la Serenissima. Perché non dobbiamo rimanere con lo sguardo fisso sui colori nazionali.