di Milan Rakovac
A momenti mi chiedo come sia possibile che nei nostri cuori riemerga quello spirito Ottocentesco che, a mio avviso, di (culturalmente) importante ha lasciato in eredità null’altro tranne che qualche aria operistica. Inoltre, non va dimenticato che anche Verdi e Wagner celebravano nelle loro opere gli sciocchi sogni imperniati sull’idea nazional-romantica, che dopo aver affossato la Rivoluzione e creato la Nazione hanno sostituito, nel Novecento, le fanfare con i tamburi di guerra.
Perché diamine succede questo se questi stessi cuori battono già il ritmo che contraddistingue il DEMOS europeo? O tutto questo succede proprio perché siamo motivati dalla passione che si ostina a voler conservare l’anacronistico patema suscitato dal canto delle sirene nazionali, un canto caro a questi cuori confusi al punto che desiderano tutelarlo a tutti i costi.
Tutte le volte che mi sorge un dubbio, neanche a farlo apposta mi imbatto in qualcuno che ragiona esattamente nel modo in cui deve ragionare il nuovo Europeo. Juan Goytisolo, nato a Barcellona nel 1931, fuggì dai franchisti e si rifugiò in Francia dove si stabilì e creò la sua casa in esilio. Goytisolo ragiona sulla sua vicenda con tranquillità, la racconta come si racconta un fatto normale, non ne parla come si parla di una tragedia o di una perdita personale, e a un certo punto afferma: “Sherazade dice nelle Mille e una notte che “il mondo è la casa di chi non ce l’ha”, ed è sempre stato così da che l’homo sapiens esiste”. È in questi termini che Goytisolo ragiona affrontando per La Repubblica un importante problema della nostra civiltà – l’identità:
“Crediamo che le culture possano solo scontrarsi o integrarsi e dimentichiamo che nella definizione di cultura è implicita l’idea della contaminazione. Una cultura è come una lingua, non può esistere senza mischiarsi. Il monoculturalismo crea ghetti, l’assimilazione forzata è impossibile e le leggi sono sempre in ritardo rispetto alla realtà che muta costantemente. L’unica strada percorribile è un’integrazione fondata nel rispetto del Paese d’accoglienza, ma che favorisca la comunicazione. Avere due lingue e due culture è preferibile che averne una sola. E tre ancora meglio…”
Poi leggo le riflessioni di un mio compagno di battaglia incontrato lungo questo difficile e lungo cammino che ci vede POSSEDERE DUE, TRE CULTURE, Darijo Marušič, che tratta gli stessi temi sulle Primorske novice:
“Non appartengono a nessuno, io sono TUTTI LORO…”, e oggi, com’è oggi?, continua Darijo;
“Il nazionalismo si diffonde in quest’area dai centri del potere politico che vuole conquistare il territorio e spingere le persone a fare una scelta… Non mi piace questo sentimento, non mi piace avere l’impressione che qualcuno mi stia manipolando, perché in Istria non c’è ancora una chiara linea che divide le nazioni… Io sono triplice, lo sono sempre e comunque. E al contempo sono unico. Ognuno di noi è unico, e al contempo in ognuno di noi si nasconde una miriade di diversità. È come quando dopo aver preso diverse lauree ci chiedono di dire la nostra professione. Dobbiamo elencarli tutti i titoli conseguiti, abbiamo tutte le professionalità per le quale ci siamo abilitati, e siamo anche di più. Mi chiedo costantemente cosa determini l’essere Sloveno o Italiano… Le determinazioni non mi piacciono, di qualsiasi tipo esse siano. Ma c’è chi insiste perché io mi esprima in un senso o nell’altro e determini la mia appartenenza. In quei casi rispondo che sono Istriano, perché Istriano è un termine che comprende t
utte le realtà nazionali di questo territorio…”
Certo non possiamo attenderci che l’iperborea istriana, l’utopia della penisola scompaiano dalla notte alla mattina, ma è palese che, in quest’area, l’armonia interetnica ha dato dato vita a un processo che si è spinto avanti al punto da lasciarsi alle spalle tanti altri tentativi simili fatti in Europa. Mi riferisco, ovviamente, al processo di creazione del DEMOS, quella sintesi tollerante della civiltà umana che era così ben conosciuta dai greci antichi e che rimane la formula migliore attraverso la quale dar vita alla nostra società umanistica europea del domani.
Il nazionalismo, anche qui in quest’area di confine, cerca di far riaffiorare le nostre paure, i nostri timori, di trasformarli in odio nei confronti dell’altro, nei confronto di tutti gli altri. Noi abbiamo profilato già da tempo il nostro stile di vita, lo abbiamo fatto sin dai tempi della Serenissima; poi, questo stile di vita lo abbiamo riscoperto e confermato con l’antifascismo, l’unica idea, e prassi, plurima sorta dopo il liberalismo della Repubblica Veneziana che ci aveva unito, senza riserve, senza ma e senza però.
Abbiamo vissuto anche la saggia esperienza dell’amministrazione imperiale che, guardando ai propri interessi, ha cercato di metterci dentro il recinto dei nostri nazionalismi. Ma anche quest’esperienza va considerata nella sua utilità per quello che chiamo FORMA MENTIS ADRIATICA.
Ora troviamo anche i pensieri di Goytisolo, pensieri che sono altrettanto vicini alle nostre necessità di mantenimento culturale in questo cocktail di lingue, culture e nazioni. Sì, è bellissimo avere due culture, o tre, e considerarle tutte proprie, andarne fieri. Essere aperti verso tutti, e verso tutte le culture. Soprattutto verso i vicini. E per questo sono fiero anch’io e non di Goytisolo o di Marušič, bensì del fatto che un giornale transfrontaliero SLOVENO dedica tutta una pagina a un uomo transfrontaliero che afferma NON APPARTENGO A NESSUNO, IO SONO TUTTI LORO…
Perché se siamo TUTTI LORO, se tutti noi siamo – tutti loro, allora loro non sono più dei nemici, dei rivali, un pericolo, bensì una speranza, dei partner, un programma! In quest’ultimo tempo, l’avrete notato, sono propenso a filosofare, vero? Non ho altra scelta dal momento che ci propongono vecchie formule nazionali spacciandole per soluzioni sagge sia per il Golfo di Pirano sia per l’Adriatico. Lo fanno tutti, da tutte le parti. Ma quest’area transfrontaliera si è già euro-transformata, e così non avrà difficoltà a superare questa sfida anacronistica. Ne sono convinto.