La frammentazione programmata della Jugoslavia e gli stessi errori delle politiche di allargamento dell'Unione Europea, stanno avendo oggi degli effetti spesso fuori dal controllo dei Governi e della Comunità Internazionale. Possono anche trascorrere decenni, ma quando le guerre terminano su accordi di pace che provocano altrettante ingiustizie, non si vengono mai a creare delle "democrazie" moderne e stabili. Nelle nuove repubbliche dei Balcani c'è poco di moderno, perché in queste terre sono spesso vividi e persistenti sentimenti di rabbia e superbia che vanno persino oltre il nazionalismo, perché manca proprio il concetto di stato-nazione o di simbolo nazionale. A volte sembra che la guerra degli anni '90, ma anche la seconda guerra mondiale, non sono mai finite, e che le fazioni etniche continuino a contrastarsi per difendere i propri diritti all'esistenza. E proprio qui, nel cuore dell'Europa, si lotta ancora per la memoria, intesa come "ideale" da proteggere contro le aggressioni dei "vincitori" che hanno scritto la storia: non si tratta di revisionismo storico, sarebbe un po' troppo riduttivo e andrebbe ad etichettare un fenomeno per associarlo ad un "reato", perché in realtà è un desiderio di giustizia, una ricerca della verità, necessaria per dare pace a questi popoli. Anche la giustizia, come la memoria, è un concetto complicato e relativo, ma chiudere i conti del passato senza concedere il diritto alla difesa e al contraddittorio significa togliere anche la speranza di creare davvero le "nuove democrazie".
Attenzione, questa non è una pura speculazione giornalistica, perché la Corte di Giustizia Internazionale e il Tribunale Penale dell'Aja sono oberati di cause che i trattati di pace non sono riusciti a risolvere: se vi fosse stato vero accordo nel ratificarli, non saremmo arrivati a questo punto. Il più grande errore è stato compiuto proprio dalla Comunità Europea – nata dall'accordo di pace tra Germania e Francia sulla gestione del bacino della Ruhr, con la creazione della CECA – che non ha saputo evitare gli errori del passato, e non ha dato alla ex Jugoslavia l'opportunità di ottenere quella giustizia, che l'America gli ha negato, allo scopo di trattare quegli Stati come una mera colonia militare. L'Europa ha obbligato gli Stati dei Balcani a ragionare in maniera "europea" imponendo degli standard giuridici ed economici ritenuti giusti, quando sono stati inefficaci e sbagliati anche all'interno dei Paesi membri, senza, tra l'altro, mettere come condizione che venissero chiuse ex ante tutte le questioni del passato rimaste aperte. Non solo non l'ha fatto, ma ha alimentato le ingiustizie, i sentimenti di revanche, che ora creano delle situazioni paradossali, quasi impossibili da risolvere.
Innanzitutto infierisce sempre di più nella criminalizzazione della Serbia per le responsabilità di quanto accaduto nella guerra in Jugoslavia, definendola così colpevole del genocidio di tutte le etnie non-serbe presenti nei Balcani, della cosiddetta "serbizzazione" dei Balcani. Una tesi inverosimile e assolutamente non supportata dalla realtà dei fatti, in quanto vi sono molte province della ex Jugoslavia in cui le comunità serbe sono state letteralmente decimate sino a farle completamente scomparire. Dalla Krajina alla Slovenia, dalla Bosnia al Kosovo, vi è stata una pulizia etnica nei confronti delle comunità serbe, che da popolo costitutivo, sono divenute delle piccole minoranze. La stessa sentenza della Corte dell'Aja che accusa la Serbia di aver compiuto degli atti criminali in Kosovo contro gli albanesi nel 1999, potrebbe essere facilmente strumentalizzata dalla comunità internazionale che ha sostenuto il diritto di auto-determinazione del popolo kosovaro. Questa è la prima volta che delle alte cariche istituzionali serbe vengono condannati per crimini compiuti in Kosovo nel 1999, tale che una sentenza di questo tipo potrebbe davvero avere un impatto sull'opinione pubblica kosovara che, dopo l'assoluzione di Haradinaj, vedrà la consacrazione dello Stato del Kosovo come una vittoria di giustizia sociale e umanitaria. Sicuramente non è un verdetto che aiuta il processo di pacificazione del Kosovo, e rischia di influenzare anche il giudizio della Corte di Giustizia Internazionale: eppure questa sentenza piace molto all'Europa, che può ora rincarare la dose contro la Serbia, per avere la consegna dei ricercati dell'Aja o rimandare sine die l'attuazione dell'Accordo di Stabilizzazione e di Associazione.
L'altro grande errore dell'Europa, è stato quello di consentire l'entrata dalla Slovenia prima ed in maniera separata rispetto al blocco dei Balcani Occidentali, ponendola così ad un livello diverso, e dandole un potere di giurisdizione che non le compete. Lubiana oggi interferisce nel processo di integrazione della Croazia, sia per la sua adesione nella NATO che in quella dell'Unione Europea, ma anche dell'Albania, mentre cerca degli assurdi pretesti anche nei confronti della Repubblica di Macedonia. Strumentalizza le questioni di regolamento dei territori di confine per imporre il veto alla chiusura dei capitoli del processo di integrazione, e arriva persino a proporre il referendum popolare per la ratifica del protocollo di adesione alla NATO. L'ultima mossa è stata quello di bloccare il capitalo relativo al "Diritto societario", che era stato aperto nel giugno del 2007 e la Slovenia non aveva avuto alcuna obiezione sino a questo momento, trattandosi infatti di una materia puramente tecnica, senza toccare il tasto del regolamento dei confini. Allo stesso tempo, il partito del popolo sloveno (SSN) ha chiesto al Primo Ministro sloveno Borut Pahor di presentare un reclamo ufficiale alla Croazia affinchè, entro 10 giorni, rimuova i cosiddetti "punti di controllo temporaneo", sui confini di Plovanija e Sveti Martin na Muri, essendo "parte del territorio sloveno" . Per giustificare le sue pretese, parla di "difesa degli interessi nazionali", ma tali insistenti richieste fanno pensare a Zagabria che la Slovenia non sia interessata ad altri territori, quanto più ad ottenere uno sbocco sul mare, e dunque a controllare una parte della costa che dà accesso ai traffici del Mediterraneo. Dall'altra parte, la Comunità Europea la lascia agire senza intervenire, per evitare di far trasparire un'immagine di "anti-democraticità" della sua integerrima struttura. Si limita infatti a proporre un gruppo di esperti per risolvere il contenzioso bilaterale sui confini, guidato dall'ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, il quale – dopo il grande caos del piano per il Kosovo – potrebbe dare ai Balcani un altro grande contributo di "saggezza" e "mediazione".
Il grande paradosso del potere della Slovenia lo si può vedere anche con gli occhi degli stessi italiani, che devono lottare ancora oggi per il riconoscimento della memoria delle foibe, nonostante vi sia un'unanime consapevolezza presso la Comunità Internazionale dei crimini compiuti dai "partigiani di Tito". L'ultimo sconcertante episodio lo racconta il gruppo di esuli italiani di Fiume, Dalmazia e Istria, che si sono recati nel paesino sloveno di Lokev (Corgnale di Divaccia) a soli 12 chilometri da Trieste per rendere omaggio ai morti di una delle foibe, quando sono stati bloccati da una manifestazione di "esaltati" nostalgici dell'armata di Tito. Inneggiando contro "i fascisti italiani", i "democratici sloveni" hanno portato con sé bandiere ed uniformi dell'esercito jugoslavo, lo stesso sul quale – pochi anni fa – hanno sparato con vere e proprie esecuzioni di eliminazione. La manifestazione era stata organizzata dalle associazioni degli esuli italiani con il contributo del Consolato italiano di Capodistria, che ha provveduto a raccogliere tutti i permessi necessari. Tutto questo comunque non è servito, in quanto, secondo le testimonianze degli esuli italiani, gli sloveni si sono presentati con un atteggiamento visibilmente ostile e minaccioso, e hanno così sbarrato l'ingresso alla foiba per evitare che svolgessero una semplice cerimonia di preghiera. "Sembravano inferociti e dei giovinastri avvinazzati cercavano lo scontro fisico. Alcuni di loro tenevano in mano dei bastoni con punte di ferro", afferma Massimiliano Lacota, Presidente dell'Associazione degli esuli italiani, descrivendo l'assurdo spettacolo a cui hanno assistito, senza che la polizia slovena intervenisse in loro difesa e bloccando invece i manifestanti che si trovavano lì senza alcun diritto. Urlando "morte al fascismo, libertà al popolo", vecchio motto dei partigiani di Tito, hanno cominciato ad avanzare, mentre gli inneggiamenti contro i "porci italiani" e gli "sporchi fascisti" si sono protratte per più di un'ora.
Lacota, e gli altri presenti, sono stati "inorriditi" per un tale spettacolo di inciviltà, da parte di un "paese moderno" come la Slovenia, mentre noi non ci meravigliano più di tanto. Gli sloveni, per quanto vogliano sentirsi "popolo eletto" dell'Est, sono pur sempre un popolo balcanico, dall'animo "iracondo" e confusionario, della peggior specie, proprio perché convinto di essere superiore. In realtà la Slovenia è l'unico Stato dei Balcani che ha commesso crimini di guerra, che ha contribuito alla stessa frantumazione della Jugoslavia, ma non ne ha mai pagato le conseguenze, come tutti gli altri. Lubiana aveva tutto da guadagnare a staccarsi dai Balcani e dunque a volere la fine della Jugoslavia, mentre ora ha tutto da perdere nel consentire alla Serbia e alla Croazia di entrare in Europa. Perderebbe quella posizione di leadership e di "portavoce dei Balcani" che si è auto-attribuita, per diventare un semplice e banale stato dei Balcani: la Serbia diventerebbe la porte d'Oriente del commercio europeo verso la Russia , mentre la Croazia, con la sua grande superficie costiera, il "porto" dell'Europa sud-orientale, accanto al Montenegro e all'Albania. Infatti, se così non fosse, se la Slovenia non ambisse ad avere almeno un piccolo sbocco sul mare, non insisterebbe così tanto sulla difesa dei confini territoriali, ed in particolare del porto di Pirano. Purtroppo, sono ancora gli altri Stati balcanici a scontare le conseguenze della politica della Slovenia, e se l'Europa non interviene a fermare questo caos, il labirinto balcanico non vedrà mai una fine. Il primo passo dovrebbe essere proprio quello di dare un'opportunità di ripresa alla Serbia e consentire a questo popolo di ritrovare, con le sole forze della legge, la propria giustizia. In secondo luogo lasciare che ogni Stato risolva le proprie controversie sulla base di un compromesso preso con consapevolezza, per dare davvero una svolta di "modernità" alla risoluzione dei contrasti balcanici.
Fulvia Novellino