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Balcani, il riscatto di Zagabria (lettera43.it 01lug13)

Un passo storico. Decisivo per la pacificazione tra europei. E di rilievo politico prima che economico. Dal 1 luglio 2013, la Croazia è entrata a far parte dell’Unione europea, che ha visto così salire i suoi membri a 28. Festeggiamenti di piazza, cerimonie solenni con i leader di Strasburgo, ma anche voci critiche sull’ingresso di una «nuova Grecia» nell’Ue.

Un altro «bambino che dà preoccupazioni», hanno scritto i commentatori tedeschi, pensando già a come arginare l’apertura di una procedura d’infrazione per i conti pubblici di Zagabria.

Accolta nel club dopo un decennio di riforme chieste da Bruxelles, da cinque anni la Croazia naviga in una brutta recessione, con la crescita che dal 2008 è crollata del 12% e una disoccupazione stimata dall’Ufficio nazionale statistico al 20,9%. Nel 2012, la Commissione europea ha stimato un Prodotto interno lordo (Pil) ancora in calo dell’1% e un deficit statale al 4,7% del Pil, ben sopra il 3% dei parametri del patto di stabilità dell’Ue. Uscita negli anni ‘90 dalla sanguinosa guerra dei Balcani con un’economia ancora arretrata, Zagabria ha pagato lo scotto della crisi dell’Eurozona, area di riferimento per un export in espansione ma debole. Le previsioni per il 2014 non sono rosee: Bruxelles stima una ripresa minima dello 0,2% e un disavanzo pubblico che potrebbe schizzare al 5,6%.

Ma non è il caso di piangere sul latte versato. La Croazia rappresenta, prima di tutto, una pietra fondante per l’integrazione politica e sociale di un’Europa che supera i conflitti irrisolti del passato. Dagli accordi di Dayton del 1995, che segnarono la fine della guerra nella ex Jugoslavia, Zagabria ha orientato la sua economia verso l’Unione europea: l’area di libero scambio verso la quale, nel 2011, ha rispettivamente esportato il 60% e il 62% dei suoi beni e prodotti.

Un ruolo centrale, nel rilanciare il mercato interno di un Paese con poco più di 4 milioni di abitanti e dall’ossatura ancora fragile, soprattutto nei piccoli centri lontani dalla costa, ce l’ha avuto il turismo: un settore che, al pari dell’import-export, ha interessato soprattutto l’Austria e la Germania, due Paesi con cui Zagabria continua ad avere quasi una sudditanza storica ed economica. Anche con l’Italia, tuttavia, i legami restano forti e a tratti tormentati, a partire dalle pendenze e dai rancori reciproci, in parte mai sopiti, della questione istriana che portò all’impresa di Fiume [sic! ndr].

In realtà, le rivendicazioni e i nazionalismi esasperati di ambo le parti risalgono alla precedente dominazione della Serenissima repubblica di Venezia e, tra le altre cose, «l’ingresso della Croazia nell’Ue agevolerà anche la risoluzione del contenzioso sugli indennizzi degli esuli italiani in Istria e Dalmazia», ha spiegato a Lettera43.it Alberto Martinelli, professore emerito alla Statale di Milano ed esperto di Politica ed Economia internazionali. «Questo passo, positivo e lungimirante, ha una valenza innanzitutto politica, perché riallaccia, in un’ottica di riconciliazione, i fili di Paesi che hanno storie complesse e interdipendenti tra loro. Origine di focolai e turbolenze da estinguere, come dimostrano gli eventi dell’ultimo secolo nei Balcani e nell’Est, ma anche di radici europee comuni».

Nel 2014, l’Ue celebrerà il centenario della Grande guerra assieme alla Croazia, Stato cerniera che ha aperto simbolicamente le porte dell’Europa anche alla Serbia e, a catena, alla Bosnia Erzegovina e al piccolo Montenegro. Con Zagabria nel club, anche Sarajevo e Belgrado sono più vicini. E la Serbia, per l’imprenditoria italiana, è un piatto ancora più ghiotto della Croazia. Il futuro degli altri Stati dell’ex Jugoslavia appare già segnato dopo il via libera di Bruxelles, nel 2013, ai negoziati per l’adesione della Serbia (ufficialmente candidata all’Ue), da avviare entro il 2014.

«Il Consiglio Ue ha deciso di aprire le trattative con la Serbia al più tardi entro il gennaio prossimo», hanno fatto sapere i leader riuniti nell’ultimo vertice europeo dello scorso 28 giugno, al quale ha partecipato anche il premier croato Zoran Milanovic. Indipendente dalla Serbia dal 2006, il Montenegro ha invece già aperto i negoziati per l’adesione nel 2012. Mentre la Bosnia Erzegovina ha iniziato il percorso di riforme, dopo aver firmato nel 2008 l’accordo di Stabilizzazione (una sorta di pre-candidatura).

Il percorso procede regolarmente. Tant’è che, dal 2010, i cittadini bosniaci non devono più chiedere il visto per entrare nell’Ue. Come gli Stati dell’Est Europa, i Paesi dei Balcani devono trasformare le loro economie stataliste in economie di mercato, riducendo il peso e i costi del pubblico impiego, non di rado macchiato da sperperi e corruzione.

Se ben gestiti, per Zagabria i fondi strutturali dell’Ue (14 miliardi di euro in arrivo tra il 2014 e il 2020), rappresenteranno il viatico per il riscatto e la modernizzazione.

«La Croazia non può essere tacciata come l’ennesimo Paese in crisi che rallenta il processo di unione politica e monetaria dell’Europa. Tra l’altro, Zagabria ha un’economia che non può essere paragonata con quella greca», prosegue Martinelli.

Per evitare semplificazioni e pressapochismi, occorre tener presente che il suo ingresso nel processo decisionale ed economico dell’Ue sarà graduale. Zagabria è infatti nei 28 Paesi dell’unione, ma non nell’euro. E, fino al 2015, al pari di Romania e Bulgaria non sarà neppure nell’area di libera circolazione di Schengen.

«L’unione politica va avanti, guidata dal nucleo forte dei Paesi fondatori dell’Ue, di pari passo con il percorso d’allargamento. I due processi non collidono tra loro», conclude l’esperto di politiche Ue, «anzi puntano a sciogliere democraticamente quei nodi di conflittualità che, dal 1918 al crollo dell’Urss, sono stati controllati e soffocati dalla Jugoslavia di Tito. Senza tuttavia essere mai risolti».

Barbara Ciolli
www.lettera43.it 1 luglio 2013

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