Fino a qualche anno fa l’eredità pesante della guerra condizionava persino la segnaletica stradale. Lungo l’A3, l’autostrada croata che corre da Zagabria fino alla frontiera serba, non c’era un solo cartello a indicare la distanza dal confine, né tanto meno quella da Belgrado. Indicativo.
Ora la musica è cambiata. A Zagabria non solo si sono ricordati dell’esistenza della Serbia, ma ormai sono giunti a considerarla una nazione amica, con cui dialogare. Lo stesso accade a Belgrado, dove l’élite politica ha alleggerito la pregiudiziale anticroata e promosso la ricucitura.
Questo processo è in corso da tempo, ma dopo l’elezione di Ivo Josipovic alla presidenza croata, lo scorso gennaio, ha registrato un netto scatto in avanti. Josipovic, appena salito a palazzo, ha messo un forte accento sull’importanza delle relazioni con la Serbia, trovando l’omologo Boris Tadic pronto a sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda.
I due hanno subito chiarito le loro intenzioni nel primo incontro bilaterale, celebrato a marzo, parlando di comune futuro europeo. Lo scorso giugno, poi, i governi di Belgrado e Zagabria hanno siglato un accordo di cooperazione a livello di eserciti (gli stessi eserciti che vent’anni fa si combattevano), ventilando inoltre l’ipotesi di gemellare le rispettive industrie militari.
Adesso le relazioni si fanno ancora più strette. Domenica Josipovic ha effettuato la sua prima visita ufficiale in Serbia e il risultato dell’incontro con Boris Tadic è stato eccezionale. Tant’è che i presidenti hanno annunciato che a breve ritireranno l’accusa di genocidio e crimini di guerra con cui uno stato ha citato l’altro davanti alla corte internazionale di giustizia. «Non c’è più ragione di guardare indietro al passato», ha argomentato Josipovic.
Sulla stampa locale c’è chi ha descritto il nuovo clima serbo-croato come una riedizione dell’asse franco-tedesco, aggiungendo Zagabria e Belgrado possono favorire la stabilità dell’intero arco balcanico, così come Parigi e Berlino riuscirono a cementare tutta l’Europa. Il terreno su cui misurare questa prospettiva è la Bosnia, ormai sull’orlo della paralisi e spappolata dai mai sopiti attriti tra le componenti serba, croata e musulmana. Tadic e Josipovic, ritengono gli analisti, possono e devono agire sulle leadership croato-bosniaca e serbo-bosniaca, responsabilizzandole e inducendole a pensare alla Bosnia in quanto tale, più che alle loro piccole roccheforti etniche.
Intanto, però, sono altre le leve che Boris e Ivo stanno azionando: quelle della diplomazia calcistica. Domenica i due hanno appoggiato il progetto di costituire una lega che porti le migliori squadre dei paesi ex jugoslavi a confrontarsi dentro e fuori dai propri confini, come ai tempi di Tito. Ritenuta fattibile anche grazie agli ottimi risultati dell’esperimento confederale promosso nel basket con la creazione dell’Adriatic League nel 2001, l’idea darebbe un forte impulso alla riconciliazione tra le ex repubbliche ex jugoslave. Serbia e Croazia come Francia e Germania. Tadic e Josipovic come De Gaulle e Adenauer. I Balcani dalla guerra alla pace, come l’Europa. Perché no?
Matteo Tacconi