Le difficoltà nel processo di integrazione di questi Paesi potrebbero essere raggruppate in due categorie. La prima riguarda la realizzazione di alcuni criteri che l’Ue ritiene fondamentali per l’adesione. Dal rapporto annuale della Commissione Europea (l’ultimo è del novembre scorso) sul raggiungimento di questi obiettivi si evince però che, nonostante alcuni progressi, le riforme della giustizia e della pubblica amministrazione sono ancora molto carenti; scarsi sono i risultati della lotta alla corruzione e al crimine organizzato; problemi inoltre continuano esistere per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, della libertà di espressione, del miglioramento dei rapporti di buon vicinato. Queste valutazioni critiche non risparmiano, per alcuni aspetti (giustizia, corruzione) anche la Croazia. Le negative esperienze nel caso di Romania e Bulgaria sono tuttora ben presenti nell’Ue.
La seconda categoria di difficoltà riguarda i problemi politici ereditati dalla guerra nell’ex Jugoslavia: dall’antagonismo nazionalista, alla discriminazione delle minoranze, al problema dei responsabili di massacri e tragedie su cui indaga o si chiede indaghi la giustizia interna e quella internazionale. Questi fantasmi, continuando ad alimentare accuse reciproche, rafforzano le correnti nazionalistiche. La mancata cattura del generale Ratko Mladic, incriminato dal tribunale per i crimini nell’ex Jugoslavia dell’Aia per la strage di Srebrenica (1995), protetto da un’ampia rete di connivenze, ha notevolmente rallentato la firma dell’Asa con la Serbia e potrebbe ritardare la sua candidatura all’adesione. Le recenti accuse rivolte dal Consiglio d’Europa a Hashim Thaci (già capo dell’armata di liberazione del Kosovo, ex primo ministro del Kosovo e vincitore delle ultime elezioni) di aver deportato, ucciso e venduto gli organi di serbi e albanesi, dopo la fine della guerra del 1999, hanno creato un ulteriore fronte di polemiche e contrapposizioni nazionali. In attesa che le indagini confermino o meno le accuse, il dialogo tra Pristina e Belgrado, che l’Ue ritiene essenziale per un avvicinamento dei due Paesi all’Europa, potrebbe subire intralci politici e ritardi.
Di fatto questo complesso di ostacoli consente ancora alle forze legate ai conflitti del passato di mantenere posizioni di potere e di resistere al cambiamento sia rispetto alle riforme del sistema interno che all’apertura dei rapporti esterni. In questa situazione, l’Ue, pur constatando che il progresso delle riforme è molto deludente, continua ad impegnarsi per la stabilità e la sicurezza nell’area, ed è andata incontro a esigenze fondamentali e a speranze delle popolazioni, concedendo una liberalizzazione dei visti, pur temporanea, a tutti i Paesi salvo il Kosovo. Inoltre ha inserito ormai questi Paesi nei suoi programmi di intervento finanziario, per alleviare una crisi che ha colpito duramente l’area. Tuttavia, nonostante l’Ue sostenga il suo progetto di integrazione dei Balcani, è ben conscia, in queste condizioni, non solo della ”fatica da allargamento” esistente, ma sopratutto dei timori presenti in un’opinione pubblica europea che paventa nuove aperture verso situazioni socialmente non gestibili, se non di criminalità. Si potrebbe dire che, paradossalmente, in questa fase, il ritardo dei Balcani accontenta molteplici esigenze interne all’area e anche all’Europa.
Tito Favaretto