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Ballarin al “Corriere della Sera”: rispettare la cultura italiana d’Istria e Dalmazia – 24mag13

Sullo Speciale Viaggi di “Sette”, supplemento del “Corriere della Sera” del 17 maggio scorso Francesco Battistini firma l’articolo “La costa selvaggia che conquistò Sissi e diede riposo a Dio“, dedicato alla Croazia, ovvero al suo paesaggio e ad alcuni dei “suoi” beni culturali. Gli ha scritto il presidente ANVGD Ballarin la lettera che riproduciamo.

Dall’intero servizio un lettore ignaro della realtà storica di quel territorio oggi a sovranità croata (e in più piccola parte slovena) è indotto a dedurre, sia pure in maniera molto generica, l’esistenza di un patrimonio artistico generato dal popolo croato, quando l’Istria, il Quarnero e la Dalmazia devono il loro volto architettonico e urbanistico e il linguaggio figurativo dei loro grandi tesori artistici all’appartenenza, da almeno il X secolo e sino alla caduta della Repubblica nel XVIII, alla civiltà veneziana, con la quale l’Adriatico orientale ha condiviso costumi, lingua, economia, cultura. È sufficiente guardare le città dell’Istria e della Dalmazia per rendersene conto, così come ascoltare il dialetto istro-veneto della Comunità italiana autoctona, che conserva in loco la memoria dell’italianità storica di quei territori: che non fu “importata” dal fascismo, come purtroppo ancora molti credono, ma ha radici plurisecolari, una storia di straordinaria ricchezza che la stragrande maggioranza degli italiani ignora.

Spiace che, nonostante le località da Lei citate abbiano una denominazione italiana antica, utilizzata per secoli nei portolani e nelle carte di tutta Europa e finanche nelle guide austriache del XIX secolo, certo non sospette di sciovinismo, Lei adoperi esclusivamente toponimi croati: Korcula omettendo Curzola, Hvar omettendo Lesina, etc.). In questo modo, seppure inconsapevolmente, Lei dà pienamente atto ad un genocidio culturale oggi in essere e ad una alla politica di denazionalizzazione ben postulata da Andre Jutrovic, storico della letteratura croata, fin dal 1969, secondo cui: «i personaggi della cultura di Istria e Dalmazia che nel passato scrissero le loro opere in lingua italiana devono essere inseriti nella nostra [croata n.d.r.] letteratura e nella nostra [croata n.d.r.] storia nazionale» poiché essi sono «scrittori croati di lingua italiana».

Lei definisce la Croazia «antica nazione e giovane Stato» che non ha «ereditato tesori inestimabili» ma ciononostante l’Unesco «l’ha messa sotto tutela con una quantità di beni culturali che, in rapporto alla popolazione, non ha eguali al mondo»: ecco, è proprio in quel «rapporto alla popolazione» che sta il grande equivoco. Lo ha già ben chiarito Gian Antonio Stella sul “Corriere” del 15 settembre 2010 nel suo articolo «Si scrive Juraj si legge Giorgio», con il quale stigmatizzava l’ostinato e annoso éscamotage di “tradurre” in croato i nomi italiani, ad iniziare dai grandi artisti istriani e dalmati che nei secoli hanno edificato, scolpito e dipinto tanti tra i più grandi capolavori dell’arte occidentale, quelli per i quali la Croazia può oggi vantare diversi siti tutelati dall’Unesco.

Basti ricordare, per brevità, le affinità tra l’arte ravennate e la Basilica Eufrasiana di Parenzo, tra la piccola Chiesa di Santa Maria Formosa di Pola con il mausoleo di Galla Placidia a Ravenna; e le pure linee rinascimentali della Cattedrale di S. Giacomo a Sebenico, opera del dalmata Giorgio Orsini e portata a compimento da Niccolò Fiorentino, risultante delle proficue relazioni tra l’Italia centro-settentrionale, la Dalmazia e la Toscana nei secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento e ben oltre.

Alle giovani Repubbliche di Slovenia e di Croazia, sotto la cui sovranità quei territori oggi ricadono dopo il dissolvimento della Jugoslavia, l’onere di custodirne e trasmetterne il patrimonio d’arte ereditato rispettandone l’autentica matrice culturale.

Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD

 

 

 

Parenzo, architetture veneziane nei pressi della Basilica eufrasiana (foto www.tripadvisor.com)

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