La demagogia e l’indignazione hanno due caratteristiche che le mantengono in vita: non costano nulla e, ad effetto, impattano sulla gente in maniera esplosiva. Nulla più di questo.
Anche stavolta sulla morte dei migranti a largo di Lampedusa abbiamo assistito al solito teatro fatto di demagogia ed indignazione.
Tutto troppo facile. Talmente facile da risultare, alla fine, un anestetico per le coscienze: ognuno di noi con il fazzoletto in mano o ad urlare un dolore spesso di facciata. Ma finita l’emergenza ed il clamore tutti a casa, con la famiglia, o al bar con gli amici, presi dalle attività di sempre. E niente è cambiato.
Del resto non può essere che così, perché l’unico vero cambiamento deriva dalla trasformazione profonda del cuore, come va insegnando da mesi (e non solo ai credenti) Papa Francesco. Nella festività del Santo Patrono d’Italia, San Francesco, sarebbe importante rileggere l’atteggiamento di un cuore come il suo, in cui non alberga nessuna demagogia ed alcuna indignazione.
Occorre seguire questa indicazione ed è importante farlo alla luce di una memoria vera, concreta e molto italiana: la realtà dei profughi istriani, fiumani e dalmati.
Profughi di allora non ebbero miglior sorte di quelli di oggi, morti a Lampedusa. L’indifferenza non è un velenoso frutto che nasce solo nell’epoca odierna.
I 350.000 profughi giuliano-dalmati sono persone che, scacciate a forza dai comunisti jugoslavi di Tito dalle terre di origine, hanno dovuto subire l’umiliazione dei fischi e delle sassate giunti alla stazione di Bologna e l’emarginazione e la difficile integrazione nei più di cento campi di raccolta, in quella terra italiana che è a tutti gli effetti la Nazione di provenienza. Dunque, non soltanto l’indifferenza, che molti chiamano in causa ogniqualvolta si tratti di migranti che muoiono al largo delle coste italiane, ma anche l’odio vero e proprio.
Eravamo stranieri a casa nostra, in Italia, scomodi esseri cacciati dalla nostre case, con tanto di avallo internazionale in un silenzio complice del dramma, molto simile all’assordante assenza dell’attuale Istituzione europea.
Questa realtà di migranti stranieri nella propria patria e costretti a subire l’odio dei connazionali, non è solo una vergogna nazionale, ma anche l’occasione per capire un principio di fondo: la memoria serve a rigenerare il tessuto malato di un corpo, affinché il cancro non lo attacchi di nuovo, facendolo scomparire una volta per tutte.
È per questo motivo che il concetto di memoria va tutelato e custodito con estrema cura.
Dobbiamo lavorare per questa memoria, carica di prospettiva e di nuova vita, in grado di accogliere il grido di dolore di ogni migrante, rifugiato od esule, senza demagogia ed indignazione, semplicemente perché la sua genesi ha un nome e un cognome: quello del padre, o della madre, profughi in cerca di una casa, dopo aver perso la propria.
Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD