È nato a New York, ma il cognome ne rivela le origini. Istriane, prima. Italiane, poi. Joe Bastianich, uno dei giudici dei talent show culinari di successo MasterChef Italia e MasterChef America, sarà ospite oggi a Trieste – all’ExpoMittelschool in via San Nicolò 5, a partire dalle 18.30 – e domani – alla ristolocanda Grani di pepe, dalle 19.30 – a Flaibano, in provincia di Udine.
MasterChef ha messo d’accordo sia critica che pubblico, segnando l’ascesa di Joe Bastianich – che è stabilmente nella classifica dei dieci cuochi più ricchi del mondo secondo Forbes – nel firmamento delle stelle internazionali dello spettacolo. Nell’edizione italiana – la seconda partirà alla fine dell’anno – Bastianich è affiancato nella giuria dai due super chef Bruno Barbieri e Carlo Cracco. In quella americana, da Graham Elliot e Gordon Ramsay, giudice temibile per eccellenza e altra star televisiva dei fornelli, già conduttore del celebre programma Hell’s kitchen, dove distrugge, anche “fisicamente”, locali dall’igiene discutibile.
Figlio d’arte, Joe Bastianich si è “nutrito” di cucina sin da piccolo, lavorando nel settore con i genitori Felice e Lidia. Un periodo in cui quello del ristoratore era un mestiere per il ceto basso. Una sopravvivenza. Da bambino, Joe si imbarazzava nel dire che i suoi genitori avevano un ristorante. Negli ultimi quarant’anni, la situazione è cambiata soprattutto negli Stati Uniti, dove ristoratori e chef non solo sono diventati garanti della buona cucina, ma anche simboli televisivi.
Dopo un breve periodo a Wall Street, Joe Bastianich, assieme allo chef Mario Batali, ha aperto “Babbo”, diventato ristorante cult di Manhattan. Ora possiede altri 25 ristoranti in tutto il mondo, fra i quali “Del posto”, primo italiano a ottenere le ambite quattro stelle dal “New York Times”. Inoltre, con la famiglia Farinetti, Bastianich ha portato nella Grande Mela “Eataly”, emporio simbolo della cucina italiana.
La sua più grande passione, però, è il vino. Nel 1997 è tornato in Friuli e ha comprato la sua prima azienda, diventando produttore. Il vino è per lui la storia stessa della sua famiglia. Proprio a Flaibano, in Friuli, presenterà la sua autobiografia “Restaurant man” (Rizzoli). Un mémoire che ne ripercorre la storia di passione e successo iniziata nel ristorante del Queens gestito dai genitori. Un racconto professionale e non solo.
Negli Stati Uniti invasi dai fast-food e dai loro menù scadenti, qual è la formula del successo dei suoi ristoranti?
«L’obiettivo dei nostri ristoranti è di offrire agli ospiti un’esperienza completa. È qualcosa di più del solo nutrimento e che la gente domanda con sempre maggiore insistenza. Vogliamo che nei nostri locali la clientela goda al massimo di ogni aspetto del pasto, compreso tutto ciò che fa da sfumatura, dalla musica alle luci. Puntiamo a informare i clienti sulla provenienza e sulle peculiarità sia dei piatti, che dei vini. Non è solo la ricerca del piatto perfetto a distinguerci, ma l’esperienza esclusiva che si vive da noi».
Lei è molto dimagrito. È un’immagine che le è stata imposta dai media o è stata una sua iniziativa?
«Quasi sette anni fa, ho affrontato dei problemi di salute. Il mio medico mi ha diagnosticato un’apnea notturna, che sarebbe potuta essere curata solo se fossi dimagrito dodici chili. Sapevo fin da subito che per un ristoratore una dieta estrema ed eccessiva non avrebbe funzionato. Anzi. Sarebbe stata di certo dannosa. Così ho deciso di dedicarmi allo sport cominciando a correre. Ammetto ch. e all’inizio è stato molto difficile, ma ho tenuto duro. Un chilometro diventava cinque. Cinque diventavano quindici. Senza essermene quasi accorto, mi sono trovato a partecipare alla maratona di New York. Posso dire di aver scelto con coscienza di cambiare vita e approccio col cibo».
Come spiega il boom dei programmi culinari? Basti pensare che MasterChef va in onda in 25 diversi Paesi.
«Tutti si possono relazionare con il cibo. Può essere un modo di dare amore e tenere unite le persone. Credo che i programmi come MasterChef siano stimolanti. Ai concorrenti, che sono dei neofiti, viene data la possibilità di passare rapidamente e attraverso l’entrata principale, alla vetta di una professione molto difficile. Penso che per i telespettatori sia facile percepire la passione e gli sforzi che impiegano. Noi stessi vogliamo vederli arrivare al successo».
Guardandola alla televisione, appare duro e critico nelle vesti di giudice. È così anche nella vita privata?
«In MasterChef emerge un aspetto della mia personalità. L’aspetto professionale. Divento molto serio quando si parla di cibo… È il mio lavoro e il mio business. Noi giudici abbiamo l’obbligo di essere duri con i concorrenti, altrimenti non saremmo corretti con tutti coloro che provano e falliscono. Sono inoltre convinto che le persone, in qualsiasi ambito, diano il meglio quando si trovano sotto pressione».
La appassiona più lavorare per MasterChef Italia o MasterChef America?
«Ci sono aspetti positivi e negativi in entrambe le edizioni. Proprio come sul set ci sono giornate buone e meno buone. Girare a Milano e a Los Angeles sono esperienze diverse, ma, tutto sommato, l’atmosfera che si respira fra i gruppi di aspiranti chef è simile».
I ristoratori, come gli artisti, hanno bisogno di rinnovamento. Chi o cosa la influenza nel suo reinventarsi?
«Come ristoratore, traggo spesso ispirazione dai viaggi e dalle persone che incontro. A New York, per esempio, può essere una bella proprietà o un edificio a ispirarmi per il prossimo progetto. Come gruppo – il Batali & Bastianich hospitality group – non proviamo tanto a reinventarci, quanto a evolverci assieme. Eataly ne è un esempio perfetto. La nostra forza consiste nel dar vita a grandi idee nell’ambito della ristorazione e con Eataly ci siamo introdotti nella vendita al dettaglio».
Italia e Croazia. Friuli e Istria: le sue origini…
«Passando l’estate in entrambi i Paesi, si sono radicati in me un amore e un rispetto molto profondi per le radici della mia famiglia. Nel 1997 ho cominciato a produrre vino in Friuli Venezia Giulia per l’azienda agricola Bastianich. È un privilegio aver la possibilità lavorare qui. Spero di poter trasmettere un giorno la passione ai miei figli e passare loro il testimone».
Igor Buric
“Il Piccolo” 23 settembre 2012