di RENZO GUOLO
La Serbia vuole l'Europa e, presto o tardi, il matrimonio verrà realizzato. Anche se su questa strada rimangono ancora ostacoli. Non solo giuridici ma anche politici. I nodi sono ancora quelli dell'eredità di Milosevic. La questione del Kosovo, la cui indipendenza non è riconosciuta e la mancata cattura dei criminali di guerra. O meglio del criminale di guerra Ratko Mladic, il ricercato principale del Tribunale dell'Aja. Perché più in basso la pulizia è, in qualche modo, proseguita. Come dà atto lo scorso autunno il rapporto Brammertz, il documento che il procuratore generale della Corte internazionale per la ex Jugoslavia ha prodotto e che testimonia la collaborazione serba nella ricerca di alcuni dei protagonisti degli efferati episodi di quei scuri anni e la condanna inflitta dalla Corte serba per i crimini di guerra ai componenti degli Scorpioni, unità speciale che dipendeva dal ministero degli Interni di Belgrado durante il conflitto in Kosovo del 1999, coinvolti nel massacro di Podujevo. Ma è la cattura di Mladic il segnale politico che i governi europei vogliono ricevere per chiudere le ferite di un passato che non sembra ancora volere passare del tutto, se non con la rimozione.
Nel frattempo Belgrado ha cercato di mostrare segni di buona volontà anche in altri campi. Sempre lo scorso autunno ha firmato il piano in 6 punti, siglato dall'Onu per dispiegare la missione di polizia e giustizia della Ue, mossa importante per aver il via libera in Europa. Sin dal momento in cui il Kosovo si è dichiarato indipendente, gli europei hanno cercato di far accettare alla Serbia il dispiegamento di Eulex. Il "sì" serbo è venuto a patto che il personale di Bruxelles non riconoscesse esplicitamente l'indipendenza di Pristina e, soprattutto, che la minoranza serbo-kosovara che vive a Mitrovica potesse avere autonomia amministrativa.
Un "sì" che ha attenuato il contenzioso con Bruxelles. Del resto l'approdo serbo nell'Unione europea è inevitabile, oltre che auspicabile.
Tenerla fuori vorrebbe dire farla gravitare definitivamente nell'orbita del rinato nazionalismo granderusso, mentre anche la Nato mostra inevitabile interesse per il suo peso strategico e geopolitico.
Oltretutto la Serbia è il Paese più stabile, nonostante i colpi di coda del nazionalismo che riemergono ciclicamente, di quelli dell'ex Jugoslavia.
Anche se la questione dei confini e delle rivendicazioni etniche non sembra mai essere risolta definitivamente una volta per tutte.
Nella valle del Presevo Belgrado deve affrontare un nuovo fantasma: quello gruppi separatisti che mirano alla riunificazione di questa area con il Kosovo. Gli attacchi compiuti recentemente, operati secondo il governo da gruppi terroristici, non lasciano presagire nulla di buono. Una situazione che rischia di far riemergere le tensioni legate alla vicenda kosovara. E a catena la questione della richiesta della stessa Albania di entrare nella Ue.
Insomma, il puzzle balcanico muta nelle forme, ma resta comunque complicato.