LETTERE
Si vedono, quasi ogni giorno, dei titoli riportati sul Piccolo relativi agli aggiornamenti sui beni degli esuli. Perché infierire ancora sugli esuli che ormai siamo già «tutti morti», e i sopravvissuti non si illudono più. L’esule istriano conserva in un sacrario la memoria di questa sua grande tristezza e non concede a nessuno di indagare o fare proposte… È una tragedia e appartiene a ognuno di noi.
Avevamo a Fianona una bellissima casa con negozio e magazzino in centro; campagne a perdita d’occhio, giardino adiacente, boschi senza confini, avevo 19 anni… Quanti progetti, quanti sogni; parto per la guerra in Africa, in Marina, tantissimi viaggi per El Alamein, Marsa Matruk, Tobruk, Bengasi trasportando carri armati e carburante da tutti i porti italiani e quando sono tornato nei 40 giorni di Tito, vado nel mio paese e non trovo più niente, sono un estraneo, e non solo ma con i miei fratelli devo portare via i miei genitori.
Signor ministro, qualcuno ha scritto sul Piccolo del 15 dicembre 2008 che con i soldi che ci verranno dati, possiamo comperare i nostri beni. Signor ministro, la dignità di noi esuli istriani non concede a nessuno questa «presa in giro», la nostra tristezza non si estingue mai. Quando mi hanno sottratto tutti i miei averi, avevo 25 anni e oggi ne ho 88 e non vorrei avere più niente. Ricordo volentieri di aver lavorato per ben 60 anni in via Cesare Battisti a Trieste con l’apprezzamento di tutti i triestini e mi vanto di aver lavorato con entusiasmo fino agli 84 anni, e non ho ancora smesso anche se i triestini dicono che Gerbini non esiste più.
Daniele Gerbini