Presentato alla libreria Minerva di via San Nicolò, “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani. Istriani, fiumani e dalmati: storie di esuli e rimasti”. (Mursia, pagg. 178, € 16,00) segna l’esordio del trentaduenne giornalista romano, di origine polacca, Jan Bernas. La pubblicazione raccoglie un denso numero di testimonianze, e a parlarne sono stati il giornalista Ezio Giuricin, lo stesso Bernas, e Livio Dorigo, presidente del Circolo Istria che ha promosso la manifestazione come ha sottolineato in apertura il vicepresidente dello stesso Circolo, Fabio Scropetta.
Libro-testimonianza questo, che illumina l’essere speculare di due anime, le due facce dell’italianità sacrificata e dolorosamente sradicata dall’Adriatico orientale… A precisarlo è stato Ezio Giuricin che fa parte della minoranza italiana in Istria. Fiumano, lavora a Telecapodistria, ed è collaboratore al Centro Ricerche di Rovigno. Lungo e molto intenso il suo intervento che ha posto l’accento tra l’altro, sulla condanna dello sradicamento e dello straniamento subito da esuli e da italiani rimasti. Per entrambi, un destino di lacerazione.
Livio Dorigo ha parlato del dramma dell’esodo che segna per sempre la vita dell’esule. E con commozione ha precisato che «la mia città è ancora Pola, quella che ho lasciato nel 1947». «Pola – ha ricordato – era una città di operai, di scalpellini e battibrocche, una città che si è svuotata… E non eravamo fascisti, anzi molti giovani hanno combattuto contro i fascisti». Trieste, ha proseguito, ha una ferita aperta e sanguinante per ciò che la storia ha inferto a queste terre, mentre del libro di Bernas ha detto «che dà uno spaccato da tenere presente costantemente quando si parla dell’Istria, della Dalmazia e del Quarnero».
Bernas, che ora sta scrivendo un libro sull’assedio di Sarajevo, ha precisato che “Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani” è un mosaico di testimonianze tra esuli, rimasti e quelli del cosiddetto controesodo. E non senza emozione ha detto che il libro è motivato da «un senso di ingiustizia» che risale a quando, studente, alla domanda rivolta alla sua insegnante sul perché tutti questi italiani erano scappati dalle proprie terre, ebbe come risposta «erano tutti fascisti in fuga». E ancora, ha sottolineato di aver voluto con queste testimonianze comunicare al lettore tutto l’orrore e la straniamento, «accompagnandolo quasi sull’orlo di una foiba, farlo sentire straniero nella propria terra, fargli vedere la propria città completamente snaturata». «Scrivere – ha precisato – è resistenza nei confronti del silenzio e dell’oblio».
Si è aperto poi un dialogo tra i relatori e l’autore che ha sottolineato ancora, di non aver trovato difficoltà a intervistare tante persone. «Il fatto della mia origine polacca mi ha aiutato a capire una terra dilaniata dalle opposte ideologie».
Infine, alcune specifiche domande a Bernas: come quella di Dorigo su come Walter Veltroni, autore della prefazione al libro, si sia posto di fronte a queste pagine, se abbia fatto insomma «un atto di onestà». Ed effettivamente Veltroni ha evidenziato le colpe del partito comunista italiano. E riguardo la “Giornata del ricordo” Dorigo ha concluso che essa ha «suscitato in molti esuli la necessità di una stretta collaborazione con i rimasti».
Grazia Palmisano