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Carmela Sorrentino: l’ultima volta che vidi Zara (Il Piccolo 15 ago)

Fu l’ultima volta che vidi Zara prima della fine

 

I ricordi di Carmela Serrentino, figlia del prefetto italiano della città bombardata

 

Era il 10 agosto del 1943, avevo appena compiuto vent’anni ed ero incinta di pochi mesi. Con mia madre salimmo sull’idrovolante con pochi bagagli per lasciare Zara Non immaginavo che non sarei più tornata nella mia città natale. E in tutti questi anni ho sempre preferito non farlo, e ricordarla com’era sessant’anni fa

 

Facevamo una vita molto bella, fra scuola, sport, cinema e balletto. Poi arrivammo come profughi nelle Marche. E capii che per noi il paradiso era finito

 

di Giovanna Pastega

 

«Ancora me lo ricordo quell’ultimo sguardo sulla mia città… e ancora, se ci penso, sento un tuffo al cuore». A ricordare l’ultima volta che vide Zara prima dei bombardamenti anglo-americani che la distrussero quasi completamente durante la II Guerra Mondiale è Carmela Serrentino, figlia dell’ultimo Prefetto dell’enclave italiana. E’ una donna alta, ancora molto bella, che conserva nei tratti il piglio di un volto fiero e al contempo dolcissimo. Ricorda la bellezza delle mule triestine, ma in realtà le sue origini sono mezze siciliana e mezze croate. La madre infatti era di Metcovich e il padre di Rosolini vicino a Siracusa. Lei da più di 60 anni vive a Venezia. «Da Zara sono andata via che avevo 20 anni e 3 giorni, era il 10 agosto del 1943. Io ero incinta di pochi mesi, mi ero sposata a gennaio. Con mia madre salimmo sull’idrovolante con pochi bagagli. Le mie sorelle erano già sfollate e le abbiamo raggiunte. Non immaginavo che non sarei più tornata. Ho guardato la mia città dall’alto e ho pensato quanto bella fosse… Da quell’istante, che si è fissato per sempre nella mia mente, non l’ho mai più rivista. E dopo, quando è stato possibile tornare, ho preferito non vederla e ricordarmela com’era… Cosa ricorda di quell’ultimo viaggio? «Ricordo che all’idroscalo c’erano venuti prendere tutti gli amici di mio padre. Abbiamo alloggiato nell’albergo dove lui andava sempre e siamo state trattate bene. Poi, quando ci hanno trasferito come profughi nelle Marche, ci hanno fatto salire su un treno tutto di legno strapieno di gente, chiusi lì come bestie…allora ho capito che nulla sarebbe stato più come prima». Com’era la sua famiglia? «Eravamo una famiglia numerosa, sette sorelle e un fratello, poi la mamma e il papà. Abitavamo nella zona più bella di Zara, la Riva Nova, da dove vedevo tutte le isole. So che questa Riva esiste ancora, ma i bombardamenti hanno raso al suolo edifici per oltre un chilometro. Ricordo la mia casa, era bellissima…». Com’era la vita a Zara? «Era magnifica, mi rendo conto oggi che allora vivevamo come in un paradiso! Noi ragazze eravamo tutte molto sportive, facevamo atletica leggera, nuoto, scherma e tanti altri sport anche a livello agonistico.

Andavamo spesso a fare le gare in Italia. Avevamo molti campioni italiani di Zara, ad esempio Ottavio Missoni che correva i 400 m. piani e la Gabre Gabric, che invece si era specializzata nel lancio del disco. Ci davamo tutti molto da fare per tenere alto il nome della nostra città. Si andava a scuola la mattina, poi si faceva un giro in Calle Larga prima di tornare a casa, era una specie di “liston”. Nel pomeriggio dopo aver studiato si andava a trovare le amiche o si andava al campo sportivo o in palestra. La nostra passione però era il cinema! Quanti film ho visto nelle sale cinematografiche della famiglia Mestrovich… E poi c’erano i balletti alla “Società Ginnastica” che aveva le palestre ma anche le sale da ballo, dove ti insegnavano tutti i balli di moda allora: il valzer, il tango (non quello figurato di oggi), il quickstep». E i ragazzi? «C’erano molti bei ragazzi a Zara. Ad esempio proprio Missoni, che allora non aveva ancora propensioni per la moda e pensava più allo sport. Lui era molto amico di mio fratello Piero, che era anche lui un bellissimo ragazzo. Mio marito, Roberto Cecconi, invece l’ho conosciuto allo stabilimento dei bagni. Studiava violino al conservatorio di Pesaro, per questo era spesso via. Ci siamo conosciuti il 9 luglio del ‘40 e poco dopo ci siamo fidanzati. Nel ‘41 è partito volontario in Africa e poi una volta tornato ha fatto il corso allievi ufficiali. Il nostro fidanzamento è stato molto epistolare, ci scrivevamo in continuazione, poi nel dicembre del‘42 mi ha detto che era stufo di aspettare, così ci siamo sposati nella chiesa di S. Simeone a Zara un sabato mattina…». E di suo padre, il prefetto Vincenzo Serrentino, cosa mi racconta? «Prima di diventare prefetto era Segretario Generale dei sindacati dell’agricoltura e del commercio di tutta la Dalmazia italiana. Mia madre mi diceva sempre quanto si era adoperato per la restituzione delle terre agli agricoltori italiani, confiscate durante la dominazione asburgica, tanto che a Zara lo chiamavano in dialetto Vize. Quando scoppiò la guerra gli affidarono il comando della difesa territoriale antiaerea. Poi arrivò l’8 settembre del 1943 e fu il caos: 3 giorni dopo i tedeschi entrarono a Zara.

Le forze militari italiane erano allo sfascio. La città completamente indifesa. La popolazione in quella situazione disperata non sapeva che fare, temeva soprattutto l’arrivo dei partigiani titini ed era preoccupata per le pressioni degli ustascia del nazionalista Ante Pavelic che spingevano verso l’annessione della città ad uno stato indipendente croato. Fu allora, in questa situazione disperata che mio padre accettò la nomina a Prefetto di

Zara: era il 2 novembre 1943. La sera stessa un violento bombardamento fece 160 morti, il 28 una seconda incursione ne provocò altri 200. In poco tempo morirono più di 2.000 persone. Furono momenti tremendi. Pensi che Zara subì in una anno ben 54 bombardamenti. Gran parte degli abitanti a più ondate aveva abbandonato Zara. Tra le macerie rimasero mio padre e il suo vice, che fecero di tutto per prestare assistenza ai feriti e organizzare un minimo di approvvigionamento per la città, che era ormai distrutta e alla fame. Pensi che ancora oggi incontro gente che mi ringrazia per quanto mio padre fece per loro… Ma la fine era ormai vicina. Il 30 ottobre 1944 i tedeschi lasciarono definitivamente Zara e il 1° novembre in città entrarono le bande titine. Mio padre solo allora decise di lasciare la sua terra ma non prima di aver issato sul campanile del Duomo un grande tricolore. Si rifugiò a Trieste finché anche il capoluogo giuliano non cadde in mano agli slavi: fu allora che lo catturarono e lo imprigionarono. Per due anni venne sbattuto da un carcere all’altro della Jugoslavia… poi, dopo uno pseudo-processo, lo fucilarono a Sebenico il 15 maggio 1947. In una lettera d’addio al padre di mio marito, proprio il giorno prima della fucilazione, espresse il suo ultimo desiderio: “Desidero che le mie ossa vengano sepolte nel recinto del cimitero militare di Zara fra i miei fanti. Per Zara ho vissuto e soltanto a Zara il mio corpo potrà trovare riposo”». Le sue spoglie dove sono? «In un campo dove adesso vanno le pecore… Abbiamo fatto domanda per individuare il luogo esatto e recuperare la salma, ma non c’è stato nulla da fare. Da poco è stata inoltrata un’altra richiesta, alla quale il Governo croato non ha ancora dato risposta». Il ricordo più forte di suo padre? «Era sempre presente per noi, io mi sono sempre sentita protetta da lui, era un padre meraviglioso. Ha messo insieme due famiglie, ha sposato mia madre che aveva già 5 figlie e poi ha fatto altri 3 figli, me, Piero e Tina, e ci ha amato tutti allo stesso modo. Era molto giovane e molto aperto come mentalità. Non ci ha mai messo un orario ma noi proprio per questo eravamo sempre puntuali…. A mio fratello, recentemente scomparso, qualche anno fa in occasione della Giornata nazionale del ricordo il Presidente Napolitano ha consegnato la medaglia d’oro alla memoria di mio padre: ci ha fatto molto piacere. Per dirle com’era mio padre… quando si sono sposate le mie sorelle in tempo di pace tutte sono andate in chiesa con la macchina, perchè eravamo una famiglia agiata, ma quando mi sono sposata io eravamo in tempo di guerra e anche se mio padre aveva a disposizione la macchina, per rispetto di quel periodo di grande difficoltà siamo andati a piedi. Lui era uno che in tutte le situazioni sapeva trovare la giusta soluzione».

 

(courtesy MLH)

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