No, Venezia da lì non si vede. Ogni mattina gli capita di passeggiare; oltre il palazzo pretorio sbuca dalle vie strette, dentro un chiasso di marinai e ducati. È un uomo elegante, capelli corti, barba, baffi e basette curati. Arriva al porto; l’Adriatico ha sempre lo stesso odore di sale. E lì c’è tutta la pietra bianca che rende Venezia così luminosa. Ma ci sono gli scogli, la bora e la sua città non si vede. Capodistria è diversa, ben più piccola. Carpaccio ha passato i cinquant’anni. Ha avuto una vita ricca, ha due bravi figli, dipingono anche loro. Ma quanto tempo è passato. Da tutto. Dai due campanili dell’Angelo Raffaele, vicino a santa Margherita, dove è cresciuto. Da quando era un ragazzino che viveva con i genitori e ha cominciato il ciclo di Sant’Orsola. Lui è sbocciato rapidamente, come è cambiata la santa nei dipinti, sempre più femminile. Ricorda il suo sogno di Orsola, l’angelo che entra camminando, come per non svegliarla, lei che dorme tutta in posa, i piedi dritti che inarcano la coperta rossa, deliziosi. E poi il ciclo di San Giorgio degli Schiavoni, quel cavaliere di cui fidarsi, forte sulle staffe che trafigge il drago, immagine dell’invasore turco e di tutti i mali possibili. Era bravo Carpaccio.
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