Il ciclo delle “Maldobrìe” di Carpinteri&Faraguna inaugurato nel 1966 dal libro omonimo comprende altri cinque volumi: “Prima della Prima Guerra” (’68), “L’Austria era un paese ordinato” (’69), “Noi delle Vecchie Province” (’71), “Povero nostro Franz” (’76), “Viva l’A.” (’83), più volte ristampati in particolare dalla Mgs Press. La saga delle “Maldobrìe” dal 1970 è approdata anche teatro prima al Politeama Rossetti e poi alla Contrada. Degli stessi autori ricordiamo: “Serbidiola”, “Porto Sconto”, “Débegnac, Débegnac”, “Cosa dirà la Débegnac?”, “Delikatessen”, “Cosa dirà la gente” e “Trieste in anticamera – Nove anni sotto due bandiere”. di Renzo Sanson wTRIESTE Lino Carpinteri sente il peso dei suoi 87 anni. Mariano Faraguna se n’è andato dieci anni fa. Ma le loro “Maldobrìe” non invecchiano mai. Varate nel 1951 sulle onde di Radio Trieste, le storie di terra e di mare ambientate nelle vecchie province dell’Impero austro-ungarico, con quel colorito linguaggio inventato dalla ditta Carpinteri&Faraguna, nel 1966 diventarono il primo di un serie di libri che fin dall’inizio incontrarono il favore del pubblico, che poi le ritrovò anche in palcoscenico dal 1970 al Politeama Rossetti, facendo da straordinario volano alle stagioni del Teatro Stabile (record di spettatori, 24775, nel ’74 con “L’Austria era un paese ordinato”) e poi alla Contrada.
Ora è arrivata in libreria la quindicesima edizione delle “Maldobrìe” (Mgs Press, pagg. 292, euro 17,50). Abbiamo chiesto a Carpinteri il segreto di tanta longevità: «E’ un libro popolare e alla gente piace le storielle che si raccontano e il linguaggio che le rinnova. L’accoglienza fu ottima fin dall’inizio, e il libro ebbe anche delle buonissime critiche sulla stampa nazionale, e poi edizioni in italiano e in tedesco». Ma sono passati quasi 60 anni. Come si spiega il successo che “Le maldobrie” ha oggi, con un pubblico così diverso? «C’è un vantaggio che io avevo previsto: prima, quando nel 1966 le Maldobrie diventarono libro, la gran parte della popolazione di Trieste, dei lettori che già ci seguivano sulla “Cittadella” (l’inserto satirico abbinato al “Piccolo del lunedì”) e alla radio con trasmissioni come “El Campanon” (dal 1953, e poi “El caìcio”, “Cari stornei”, “Il Portolano” e così via), era un pubblico formato di anziani, che aveva in gran parte vissuto sotto l’Austria-Ungheria – ma anche mio padre, classe 1893, che era entrato a Trieste nel 1918, con la bandiera, come capitano dei bersaglieri – e raccontavano ai figli e nipoti i loro ricordi, le loro storie».
«Ora quelle generazioni riposano in pace – dice Carpinteri, – ma io avevo previsto (e lo dicevo sempre a Faraguna) che un giorno i giovani avrebbero letto le “maldobrìe” come una fiaba: “C’era una volta…”. E le tante ristampe mi danno ragione: credo proprio che i giovani lettori apprezzino quelle storie raccontate con un colorito linguaggio istro-dalmato-veneto che in realtà non è mai esistito, ma è un misto di vari dialetti adriatici, un mix inventato che nessuno in realtà parla, ma tutti capiscono, perché li riecheggia». Così le Maldobrìe sono diventate una fiaba. Una fiaba ormai emancipata dagli autori, e dal mondo al quale avevano attinto. Non è più loro. E’ diventata di tutti. Vola per conto suo, anche se può essere interpretata in tanti modi… «Nella gente delle generazioni precedenti – commmenta Carpinteri, – l’Austria era vista o in enorme polemica oppure come il paradiso perduto, l’Austria Felix». «Qual è stato il nostro trucco? Che noi tutte queste storielle che abbiamo recuperato dai racconti dei nonni, animate da personaggi mitici come Barba Toni, Barba Checo, siora Nina, sior Bortolo (l’inimitabile Lino Savorani, al quale abbiamo dedicato il libro), insomma tutte queste storie le abbiamo scritte perchè si parlava di un periodo in cui non c’erano confini tra Italia ed Istria e Dalmazia, si parlava di un mondo unito, di italiani uniti («né dogane né dazi de qua fin ai Carpazi»), di tutto un piccolo universo che va da Trieste alle Bocche di Cattaro al Golfo del Quarnero, sulla costa dell’Adriatico dove ci sono «otocentosetanta tra isole e isole minori senza contare i scòi».