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Caso Mussolini: l’Istria che doveva restare italiana (Rinascita 21 ott)

di Ubaldo Giuliani Balestrino

Il tempo – dice un proverbio – è galantuomo: e – a proposito dell’uccisione di Claretta Petacci e di Benito Mussolini – il tempo si è rivelato, nell’estate 2010, galantuomo.

Ciò è avvenuto sotto due profili: quello processuale e quello delle nuove prove.

Sotto il profilo processuale, la denunzia di Guido Mussolini (nipote del dittatore fascista) per l’uccisione del nonno Benito è stata archiviata dal giudice per le indagini preliminari di Como, dottoressa Nicoletta Cremona.

Contro l’archiviazione, Guido Mussolini ha presentato ricorso. Il ricorso è stato respinto il 22 settembre u.s. dalla Corte di Cassazione, sez 1° penale.

Ebbene: il procuratore generale presso la Cassazione, sostituto dottor Montagna, aveva concluso – nella sua requisitoria – per la fondatezza e il conseguente accoglimento del ricorso proposto da Guido Mussolini.

Com’è noto, la requisitoria del procuratore generale non è vincolante per la Cassazione. Difatti, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. Si vedrà se il ricorrente Guido Mussolini – nipote del dittatore – ricorrerà alla Corte di Giustizia europea o ripresenterà la sua denunzia corredata da nuove prove. Ma, comunque, che l’autorevolissimo rappresentante della pubblica accusa abbia concluso per l’annullamento dell’archiviazione e cioè per la riapertura delle indagini, è di per sé un fatto storico di grande importanza.

Ciò dimostra il rischio che si assunse Bruno Lonati quanto dichiarò di essere stato lui a passare per le armi Benito Mussolini, verso le ore 11 del mattino del 28 aprile 1945. Bruno Lonati precisò di aver agito su ordine di un ufficiale del servizio segreto inglese, ancorché di origine italiana, John Maccarrone. L’ufficiale britannico avrebbe provveduto lui a assassinare Claretta Petacci.

Dal racconto di Bruno Lonati, l’eminente storico Luciano Garibaldi ha dedotto – nell’anno 2002 – la ben nota teoria della c.d. “pista inglese”. Secondo Luciano Garibaldi (che ha sviluppato e convalidato un’intuizione del massimo tra gli storici del fascismo, Renzo De Felice), Churchill ordinò la soppressione di Claretta Petacci e del dittatore fascista per entrare in possesso del carteggio tra Mussolini e Churchill, e per eliminare due testimoni che del carteggio sapevano tutto (o, nel caso di Claretta, quasi tutto).

Orbene, un forte argomento a favore della sincerità di Bruno Lonati è questo: egli rischiava molto a dichiararsi l’esecutore materiale dell’uccisione di Mussolini.

Il fatto che – ancor oggi – sia ipotizzabile la riapertura delle indagini a proposito di detta eliminazione e che la questione possa essere portata al vaglio della Corte di Giustizia europea, dimostra che l’eventualità di un processo a Bruno Lonati non è assurda: al massimo, è improbabile.

Da notare che il Giudice per le Indagini Preliminari di Como ha archiviato il processo perché ha escluso la premeditazione: ciò che ha convinto il magistrato a ritenere il fatto prescritto. Viceversa, secondo il racconto del Lonati, il commando agli ordini di John Maccarrone partì da Milano per il lago di Como con lo scopo preciso di uccidere Mussolini e la Petacci. Se si ritiene attendibile la versione Lonati, la premeditazione è indiscutibile perché ammessa dal Lonati stesso. Ma vi è di più.

In caso di nuove prove – e proprio recentemente nuove prove sono affiorate, come si vedrà – l’archiviazione può essere revocata.

Inoltre, un’eventuale denunzia contro Bruno Lonati per l’assassinio di Claretta Petacci non è affatto inconfigurabile. Secondo il suo stesso racconto, Lonati rifiutò di sparare a Claretta, ma seppe che John Maccarrone aveva l’ordine di assassinare la Petacci perché sapeva troppe cose. Ciò nonostante, Lonati ubbidì a John Maccarrone e cooperò a disarmare i partigiani che stavano a guardia della casa dei contadini De Maria, dove si trovavano Benito e Claretta.

Non è quindi inconcepibile – ancora nel 2010 – un processo a Lonati per l’assassinio premeditato di una donna inerme e incolpevole: come direbbe il D’Annunzio conversevole, l’Italia è una terra ricordevole. A quest’osservazione ha obbiettato il Barozzi – un attento e lucido studioso di quel periodo – che mai si celebrò un processo contro Walter Audesio, noto pure come “colonnello Valerio” e indicato (sia pure molto tempo dopo i fatti) dal partito comunista come materiale esecutore dell’uccisione dei due amanti, Benito e Claretta.

Se non che, il problema non è se un processo al proposito è avvenuto: bensì se un processo avrebbe potuto svolgersi. La requisitoria recente del procuratore generale in Cassazione obbliga rispondere di sì.

Ma vi è di più. Lonati rischiava pure che qualche fanatico ammiratore di Mussolini vendicasse su di lui l’uccisione del dittatore.

Qualche anno dopo Waterloo, vi fu un attentato contro Wellington.

Fu imputato un sottoufficiale della Grande Armata napoleonica, Cantillon, che fu assolto nonostante vi fossero gravi indizi contro di lui. Napoleone nel 1821 lasciò a Cantillon una notevole somma, nel IV codicillo del suo testamento, mostrando di credere che Cantillon avesse tentato di uccidere Wellington.

Pure a molti anni dal 1945, avrebbe potuto esserci un Cantillon italiano che attentasse alla vita di Lonati.

Inoltre quando nel 1980 Lonati parlò, il partito comunista difendeva la c.d. “vulgata” sulla morte di Mussolini, “vulgata” di grande importanza politica. Sui particolari dell’uccisione di Mussolini non fu mai fatta un’inchiesta: il processo per l’oro di Dongo non fu mai celebrato. Smentire la tesi che Longo, Lampredi o Valerio avessero ucciso Mussolini, era avvalorare la tesi della doppia fucilazione (una alla mattina e poi una seconda sui due cadaveri nel pomeriggio del 28 aprile 1945), dire che Mussolini non era stato ucciso dai partigiani era, colpire un ancora fortissimo partito comunista. Era attizzare l’attenzione sull’oro di Dongo. Era schierarsi dalla parte di De Felice e del revisionismo e – al proposito – i rischi non erano pochi: i comunisti chiesero addirittura che fosse tolta a De Felice la pur meritatissima cattedra universitaria, soltanto perché aveva cominciato una biografia imparziale di Mussolini.

E l’omertà al riguardo (attestata del partigiano Sandrino, il quale disse al giornalista Giorgio Pisanò: “non parlerò anche se mi offri dei milioni: la pelle è una sola”) era fortissima. Ciò dimostra che riaprire quella vicenda significava rischiare serissime conseguenze pure da quel lato.

Perciò, Lonati affrontò gravi pericoli con il suo racconto.

Oppone a questo argomento il Barozzi che il Lonati guadagnò con le sue rivelazioni notorietà, trasmissioni televisive e due edizioni di un suo libro. Ma questi vantaggi non valgono la minima parte dei rischi su indicati.

Queste conferme si aggiungono alle conferme permanenti e omissive dalla pista inglese che perdurano da decenni. In particolare:
le autorità inglesi non hanno mai smentito il Lonati. E ciò nonostante le molte lettere (anche raccomandate) inviate dal Lonati al consolato inglese di Milano e all’ambasciatore inglese a Roma.
il partito comunista non ha mai smentito la tesi della doppia fucilazione e le rivelazioni al proposito della pista inglese di Massimo Caprara (ex segretario di Togliatti) non hanno suscitato contestazioni. Queste rivelazioni sono state fatte da Massimo Caprara nella post-fazione al libro “La pista inglese” di Luciano Garibaldi.
l’omertà (attestata dai partigiani Sandrino e Lino) non si spiega senza un terribile segreto. E nemmeno si spiega la pluralità delle versioni fornite dal partito comunista sulla morte di Mussolini.

Inoltre, per la prima volta (a mia conoscenza) la teoria della pista inglese è stata, il 23 luglio 2010 nella trasmissione “Mussolini, ultima verità”, confrontata con altre versioni alla Tv di stato. Vero è che Giordano Bruno Guerri avanza – nella trasmissione ricordata – pure l’ipotesi che si tratti di autosuggestione del Lonati. Ma Giordano Bruno Guerri non spiega come mai un uomo sano di mente e di brillante carriera potrebbe cadere nel delirio dell’autosuggestione per decenni. Il che è improbabile, se si considera che il Lonati fu comandante di formazioni partigiane combattenti e tutti lo considerano una persona responsabile. E neppure Giordano Bruno Guerri spiega come mai tale supposta autosuggestione non abbia condotto il Lonati a qualche assurdità.

Da notare che Giordano Bruno Guerri riconosce – nella ricordata trasmissione del 23 luglio u.s. – che la vulgata comunista fornita dal colonnello Valerio è “sfilacciata”: ma tra una versione da tutti riconosciuta inattendibile e il coerente racconto di Lonati è evidentemente quest’ultimo a essere il più credibile.

Pertanto, la teoria proposta da Luciano Garibaldi sulla pista inglese – teoria non confutata dagli storici, ma a cui era stato opposto un ostinato silenzio – è ormai divenuta argomento di discussione scientifica. La totale indifferenza fin qui mantenuta l riguardo non potrà più essere proseguita nell’avvenire.

Ma sono pure affiorate prove concrete.

Le due Mazzola – sia pure smentendo il racconto da loro fatto al giornalista Giorgio Pisanò – confermarono a Rai Tre il racconto di Lonati: ciò dimostra che questo racconto è vero.

La convalida da parte delle due Mazzola (madre Giuseppina e figlia Dorina) del racconto Lonati – rimasto per lungo tempo screditato – è senza dubbio disinteressata data anche l’età avanzatissima del Lonati di oggi.

Giuseppina Mazzola, vide passare per le armi – verso le ore 11 del 28 aprile 1945 – un uomo tozzo e tarchiato e una donna con la pelliccia. L’uomo “tozzo e tarchiato” è evidentemente Mussolini.

L’uccisione avvenne – secondo Giuseppina Mazzola – sul muretto dell’orto, proprio su quel muretto cui aveva fatto riferimento Bruno Lonati. Secondo Giuseppina Mazzola “lì furono trafitti”.

Pure il racconto della figlia Dorina è una conferma: la figlia Dorina ricorda “due o tre persone”, che erano lì verso le 11 di quel mattino e che vi era una macchina scura.

Ci si potrebbe chiedere perché le Mazzola abbiano – anni addietro – dato al giornalista Giorgio Pisanò una versione alquanto diversa.

L’ipotesi più logica è che il partito comunista abbia voluto “salvare il salvabile”. Può darsi che il partito comunista abbia imposto alle due Mazzola di convalidare la tesi (già affiorata al tempo delle dichiarazioni a Giorgio Pisanò) della doppia fucilazione, ma mantenendo ferma l’affermazione che erano stati i partigiani italiani a uccidere Mussolini.

Il partito di Togliatti e Stalin era impegnato a coprire i servizi segreti inglesi, come ha svelato Massimo Caprara, l’ex segretario di Togliatti. Posto che il racconto del colonnello Valerio faceva acqua da tutte le parti, era meglio per il partito smentire questa versione mantenendone peraltro ferma la parte essenziale: i partigiani avrebbero passato per le armi Mussolini.

Perciò, le Mazzola rilasciarono a Pisanò le famose dichiarazioni scritte. Tali dichiarazioni depistarono Pisanò.

Oggi che il partito comunista e i servizi sovietici non ci sono più, le Mazzola hanno detto la verità, pur non facendo il nome di chi le ha fatte mentire a Pisanò.

Lo scempio di piazzale Loreto fu commesso per dimostrare che Mussolini e la Petacci e i gerarchi erano stati uccisi per l’odio furibondo dei partigiani. In realtà, piazzale Loreto coprì la pista inglese.

Per additare l’odio dei vincitori i cadaveri dei fucilati bastavano 18 forche, come quelle usate dai tedeschi e come poi adottate a Norimberga.

Ma ci sono pure argomenti ulteriori.

Anzitutto, la trasmissione televisiva del 23 luglio 2010 ha confermato che Mussolini aveva un carteggio con Churchill, che a detto carteggio attribuiva grande importanza, che parlò di ciò con molte persone, che fece fare varie fotocopie del carteggio a Nino d’Aroma – il quale dirigeva l’istituto cinematografico Luce.

Tali fotocopie furono distribuite a numerose persone: al tenente Enrico De Toma, al ministro della Repubblica sociale Biggini e ad altri ancora.

A detto carteggio fa un chiaro riferimento la lettera di Mussolini e Churchill in data 24 aprile 1945, missiva affidata all’ufficiale tedesco Spoegler.

Ebbene: durante la trasmissione del 23 luglio 2010 a Rai Tre, è stato interrogato Spoegler, il quale ha riconosciuto la lettera affidatagli da Mussolini e diretta a Churchill e da Spoegler consegnata a un emissario di Churchill in Svizzera. Ed è irragionevole supporre che Mussolini – alla vigilia del crollo e della probabile morte – si occupasse di scrivere lettere assurde. Nella lettera a Churchill – ancor oggi riconosciuta da Spoegler – Mussolini scrisse al premier britannico “Voi siete il solo a sapere che io non devo temere il giudizio della storia”. Chiara allusione a un segreto di cui soltanto Mussolini e Churchill erano a conoscenza.

Fino all’ultimo – pure dopo la cattura – Mussolini cercò di conservare la borsa che conteneva la corrispondenza con Churchill e ne segnalò (anche ai partigiani) l’importanza non soltanto storica, ma anche pratica, dicendo: “queste carte valgono una guerra vinta”.

Inoltre, il dittatore fascista disse ai partigiani di sapere che gli agenti del servizio segreto inglese lo cercavano per ucciderlo.

E che motivo aveva il servizio segreto britannico per eliminare Mussolini se non quello d’impedirgli di parlare del carteggio? L’uccisione di Mussolini ad opera dei partigiani era probabilissima: ma gli inglesi volevano che Mussolini tacesse.

Pure una sua dichiarazione rilasciata ai partigiani poco prima della fucilazione, sarebbe stata pericolosissima per Churchill.

Ma se il dittatore fascista temeva di essere ucciso dagli agenti del servizio segreto inglese, il racconto Lonati diviene attendibile.

Questo racconto è l’unica versione dei fatti che attribuisce ad agenti britannici l’eliminazione di Mussolini: eliminazione che doveva avvenire prima che il dittatore parlasse del carteggio.

Ma vi è un’altra (tra le moltissime che qui – per brevità – si tralasciano) conferma della verità delle versione Lonati.

La trasmissione di Rai Tre ricordata contiene pure la testimonianza del nipote Ton David, Claudio Ersoch.

Tom David era il capo dei servizi segreti della Repubblica sociale e istriano: era nato nei pressi di Pola. Ebbene il nonno Tom David disse al nipotino Claudio, mostrandogli un lungo cilindro: “in questo recipiente vi sono i documenti grazie ai quali torneremo in Istria”.

Ciò dimostra che quei documenti provavano l’impegno inglese a conservare integri i confini orientali dell’Italia. E ciò coincide con quanto disse Mussolini ai partigiani che lo avevano catturato: “ io non sono responsabile della dichiarazione di guerra avvenuta il 10 giugno 1940”. Affermazione ricordata dal testimone Alberto Botta nella trasmissione del 23 luglio u.s.

Per di più, nell’agosto 2010 è uscito – anche in traduzione inglese – un libro dell’autorevole professore Pierre Milza (uno tra i massimo storici francesi del fascismo) secondo cui la versione del Lonati merita di essere analizzata attentamente.

Ciò viene a convalidare quanto ha scritto Francesco Cossiga a p. 121 del suo libro “Italiani sono sempre gli altri”: libro pubblicato nel 2007 e ripubblicato nel 2009. Ha attestato Francesco Cossiga, già presidente della Repubblica, ministro dell’interno e presidente del Consiglio: “L’uccisione di Mussolini, del capo supremo del fascismo, è stata in un certo senso il momento supremo di legittimità politica e militare della Resistenza. Forse è proprio per questo che non c’è stata una Norimberga italiana. E forse è vero che fu ucciso su commissione dell’Intelligence Service per via del carteggio con Churchill (lo stesso De Felice aveva cercato di rintracciarlo tramite me, ma non potei aiutarlo), ma la sua morte è diventata un mito fondante della liberazione dalla dittatura della nuova Italia antifascista cattolica, socialista, laica, liberale e comunista.” La citazione è tratta dall’edizione del 2010, che però è una ristampa di quella del 2007.

Come mai un personaggio quale Cossiga – evidentemente a conoscenza anche di carte riservatissime – dichiara che “e forse è vero che fu ucciso su commissione dell’Intelligence Service per via del carteggio con Churchill”? Ovviamente, perché Cossiga sapeva che la ricostruzione storica compiuta da Luciano Garibaldi era esatta e (prima o dopo) la verità della pista inglese sarebbe stata riconosciuta.

E come mai Cossiga non rispose a De Felice che era un visionario fuori strada? E perché “non poté aiutarlo” a tanti anni dei fatti, essendo sopite le accese passioni politiche dell’immediato dopo guerra? Senza dubbio, perché la morte di Mussolini era divenuta “un mito fondante della liberazione”.

Nulla – eccetto quest’argomento – si opponeva a un aiuto di Cossiga alle ricerche di De Felice.

In conclusione: la trasmissione di Rai Tre, avvenuta il 23 luglio 2010, costituisce una formidabile conferma della versione Lonati.

Essa dimostra che un filo rosso salda il carteggio e la dichiarazione di guerra italiana del 10 giugno 1940 con l’uccisione di Mussolini e la Petacci.

E conferma il vitale interesse dei comunisti e degli inglesi a tenere occulta la verità.

Ciò spiega le molte e gravi illegalità perpetrate nel processo Guareschi, illegalità avvenute non per difendere De Gasperi, ma per criminalizzare tutto il carteggio.

Non per nulla Churchill sostenne la tesi di De Gasperi: un ufficiale inglese, tenente colonnello Bonham Carter testimoniò contro Guareschi e contro lo scrittore parmense fu prodotta una lettera del generale britannico Alexander.

Le irregolarità del processo Guareschi, con lo scandaloso rifiuto della perizia grafica, furono la prosecuzione dell’assassinio di Claretta Petacci ed ebbero lo stesso movente.

 

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