di TITO FAVARETTO
In una recente dichiarazione il Presidente della Repubblica Slovena Danilo Turk, ricordando la delicata questione delle foibe, ha accusato la classe politica italiana di “deficit etico” sulla memoria del fascismo, richiedendo all’Italia un più chiaro confronto con i crimini di quel regime in queste aree. Mancando questa “dimensione etica”, egli ritiene che un vertice di riconciliazione tra Slovenia, Croazia e Italia, prospettato fin dalla presidenza Ciampi, “non sia utile in questo momento”. Questa dichiarazione blocca sul nascere il dibattito che si era aperto, dopo l’intervista del Presidente della Repubblica di Croazia a “Il Piccolo”, nella quale la possibilità di un incontro di riconciliazione tra i Presidenti dei tre paesi era stata riaperta.
Per chi è nato durante o dopo la seconda guerra mondiale ( cioè la gran parte della popolazione), ha vissuto la grande riconciliazione europea degli anni ’50 del secolo scorso e il processo di integrazione europea, fino all’allargamento a Est, questa vicenda non può non colpire e stupire. Tralasciando le polemiche spesso distorte e strumentali sull’equiparazione di fascismo e antifascismo, fascismo e comunismo, che sarebbe meglio lasciare al dibattito tra gli storici, e comprendendo e rispettando le memorie e i giudizi di coloro che a quei conflitti hanno partecipato e che ne hanno subito lutti e ingiustizie, ci si chiede perché un atto di riconciliazione non sia possibile. Atto di riconciliazione vuol dire riconoscere i torti inflitti e patiti ed esecrare i crimini ingiustificabili commessi. Lo stesso Presidente sloveno ha ricordato che esiste già “un elevato livello di riconciliazione” tra Roma e Lubiana poiché ”Italia e Slovenia fanno parte dell’Ue, che rappresenta il progetto di riconciliazione più rilevante e di maggior successo nella storia del continente”. Dovremmo dedurne che queste specifiche aree interessate dalla guerra non possono rientrare in quel processo di riconciliazione europea?
Certo, l’Europa attuale sembra aver perso progressivamente una parte dei valori e delle speranze che hanno caratterizzato lo spirito europeo nella seconda metà del ‘900. Il processo di integrazione diventa sempre più complesso e spesso insidiato da conflitti bilaterali di cui si tende a scaricare l’onere sull’Europa.
Siamo di fronte a una profonda crisi istituzionale dell’Ue, a una crisi economica che metterà a dura prova il fragile edificio comunitario, a mutamenti dello scenario internazionale in cui forti soggetti regionali si confronteranno con un insieme di stati europei disuniti. Senza coesione e solidarietà, un tempo principi fondanti, questa Europa non andrà lontano.
E la nostra area non farà eccezione, se una manifestazione di riconciliazione ormai condivisa nella vita pratica dalla maggior parte delle popolazioni interessate non potrà essere ufficializzata da tre Capi di Stato.