Celebrata la Giornata della liberazione della città di Trieste dall’occupazione jugoslava

Nella Sala del Consiglio comunale di Trieste si è tenuta stamane la celebrazione ufficiale della “Giornata della liberazione della città di Trieste dall’occupazione jugoslava”, organizzata dall’Amministrazione comunale in ottemperanza alla deliberazione della Giunta comunale approvata il 26 maggio 2020, che ha istituito la solenne ricorrenza cittadina del 12 giugno, per ricordare il giorno della fine dell’occupazione jugoslava di Trieste del 1945.

In rappresentanza della Giunta l’Assessore Everest Bertoli ha tenuto l’intervento istituzionale, che qui riportiamo, seguito dall’alzabandiera in Piazza dell’Unità d’Italia.

Pace.

Democrazia.

Libertà.

Amor di Patria.

È in nome di questi valori che il 25 aprile 1945 si compì l’insurrezione generale in Italia settentrionale contro i nazifascisti.

Analogamente il 30 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste attuò l’insurrezione cittadina, guidato da Don Marzari, di cui quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla scomparsa.

Nel resto d’Italia fecero seguito alle insurrezioni l’arrivo delle truppe inglesi ed americane, il coinvolgimento dei vertici partigiani nell’amministrazione territoriale, manifestazioni patriottiche e festeggiamenti.

Il primo maggio 1945 nulla di tutto ciò avvenne, poiché giunsero a Trieste le truppe dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, le quali avevano già reso noto che il loro intento non era solo la legittima liberazione del territorio jugoslavo dagli occupanti stranieri e dai loro collaborazionisti.

Il leader comunista jugoslavo voleva allargare i confini del vecchio regno di Jugoslavia e arrivare laddove c’erano comunità slave anche se minoritarie rispetto alla maggioranza della popolazione.

Il grido di guerra “Trst je nash” era molto eloquente in tal senso.

Ancor più eloquente sarebbe stata la scelta di trascurare l’avanzata su Zagabria e Lubiana dal sud della Jugoslavia già liberata per concentrarsi invece su Trieste, Gorizia, l’Istria e Fiume.

Senza dimenticare che anche la regione austriaca della Carinzia meridionale era un obiettivo del progetto espansionista jugoslavo.

Zara già nel novembre 1944 aveva sperimentato la “liberazione” jugoslava: processi sommari, eliminazione non solo di ex fascisti ma anche di tutti coloro i quali erano oppositori o presunti tali del progetto annessionista jugoslavo.

Ottavio Missoni, grande esule dalmata, ricordava sempre che per gli italiani di Dalmazia le foibe furono rappresentate dal mare Adriatico, ove i titini gettavano in acqua con una pietra legata al collo le vittime della loro epurazione politica.

Foibe azzurre sono state chiamate queste stragi, ricollegandosi così alla prima ondata di crimini compiuti con le stesse logiche dopo l’8 settembre 1943 in Istria.

Soprattutto nei confronti di civili, maestri, funzionari comunali e forze dell’ordine, vale a dire chiunque rappresentasse per il suo ruolo sociale ed istituzionale la presenza dello Stato italiano sul territorio.

Quelle terre di frontiera dovevano far parte della nuova Jugoslavia comunista alla fine del conflitto e quindi già nel settembre 1943 ne fu proclamata in maniera unilaterale l’annessione.

Ecco quindi che il primo maggio del 1945 per Trieste la Venezia Giulia non ci fu la liberazione, bensì l’inizio di una nuova occupazione straniera.

Le immagini che celebrano il 25 aprile nel resto d’Italia mostrano le persone accogliere in piazza partigiani e militari alleati sventolando bandiere tricolori.

Per la nostra città l’immagine più iconica è quella dei finanzieri, simbolo della presenza dello Stato italiano, che vengono incolonnati dai partigiani jugoslavi ed avviati ad una breve prigionia che si concluderà con l’eliminazione alla foiba di Basovizza.

A Trieste il 5 maggio 1945 chi scese in piazza per ribadire l’appartenenza all’Italia di queste terre fu preso a fucilate dai militari jugoslavi e ancora oggi una lapide in via Imbriani ci ricorda i morti di quella giornata.

D’altro canto appena arrivati in città gli jugoslavi esautorarono i comandi partigiani italiani e spostarono le lancette degli orologi sul fuso orario di Belgrado, perché la città doveva diventare jugoslava.

Don Marzari stesso, che era stato liberato dal carcere nazista poco prima dello scoppio dell’insurrezione cittadina, dovette abbandonare la città per la sua sicurezza.

Anche chi aveva fatto la Resistenza e combattuto i nazifascisti non era al sicuro se osava opporsi al progetto espansionista jugoslavo: la strage delle malghe di Porzus del precedente febbraio ne era stata tragica dimostrazione.

Come in quella circostanza nel Friuli orientale partigiani comunisti italiani non si fecero remore ad eliminare connazionali che combattevano anche per la salvaguardia dell’appartenenza all’Italia, così pure a Trieste le liste di proscrizione furono redatte non solo dagli agenti dell’Ozna, la terribile polizia segreta del maresciallo Tito.

Collaborarono in tal senso comunisti italiani che all’appartenenza ad un’Italia liberata dagli anglo-americani e quindi destinata a restare nella sfera d’influenza occidentale, preferivano essere annessi alla Jugoslavia in cui di lì a poco si sarebbe secondo loro costruito il paradiso socialista.

Delazioni e arresti, deportazioni e uccisioni in foiba, marce forzate e campi di concentramento, terrore e repressione.

Queste erano le caratteristiche della liberazione declinata secondo Josip Broz detto  Tito.

Una sorte che toccò anche altre località che per il diritto appartenevano comunque all’Italia finchè una conferenza di pace non avrebbe determinato un nuovo confine in maniera internazionalmente riconosciuta.

L’arrivo nel capoluogo giuliano delle truppe neozelandesi, avanguardia della armate alleate, poche ore dopo la presa del potere jugoslava consentì comunque a Winston Churchill di affermare che era stato messo un piede nella porta prima che si chiudesse.

Certo, nelle settimane seguenti gli anglo-americani dovettero assistere alle pratiche jugoslave del terrore senza poter reagire adeguatamente per evitare scontri con un esercito che era stato riconosciuto come alleato e rappresentativo della rinascente Jugoslavia.

La Germania non si era ancora formalmente arresa ed il Giappone nemmeno, quindi la Seconda guerra mondiale non era finita e la coalizione internazionale antifascista doveva conservarsi, anche se l’avanzata dell’Armata Rossa in Europa orientale aveva già fatto capire che alle dittature nazifasciste andavano sostituendosi nuovi regimi dittatoriali che avrebbero rappresentato l’antagonista delle liberaldemocrazie in quella che sarebbe stata la Guerra fredda.

E che tale sorte sarebbe toccata anche alle terre del confine orientale italiano è stato autorevolmente dichiarato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in uno dei suoi interventi in occasione del Giorno del Ricordo.

La presenza degli Alleati a Trieste consentì almeno la possibilità di aprire una trattativa con la Jugoslavia per delineare una spartizione provvisoria in attesa delle decisioni della conferenza di pace.

Gli accordi di Belgrado si sarebbero conclusi con la definizione della linea Morgan tra Zona A sotto amministrazione militare alleata e Zona B sotto amministrazione militare jugoslava.

Una linea di demarcazione provvisoria delineata da un ufficiale britannico ma che ricalca in molti tratti quello che sarebbe diventato il futuro confine italo-jugoslavo.

Trieste, Gorizia e Pola da una parte, il resto dell’Istria e Fiume dall’altra.

Liberazione da una parte, oppressione dall’altra.

Amministrazione militare significa infatti la presenza di un esercito straniero che garantisce l’ordine pubblico ed il ritorno alla vita civile nel rispetto della sovranità del paese occupato in attesa della sistemazione territoriale definitiva.

Nella Zona A ciò avveniva, nella Zona B era invece in atto una progressiva annessione alla Jugoslavia con nuove violenze, nuove vittime infoibate come il Beato don Bonifacio martirizzato in odium fidei, l’eliminazione del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Istria che voleva opporsi a questa nuova occupazione straniera.

Il 12 giugno 1945 vide l’uscita dalla nostra città delle truppe jugoslave e le immagini che abbiamo ben presente mostrano piazza Unità d’Italia piena di persone che salutano le truppe angloamericane sventolando il tricolore e non più parate di jugoslavi provenienti soprattutto dall’entroterra per rivendicare una prevalenza slava nella popolazione ed un’accettazione entusiasta del nuovo ordine che non avevano alcun fondamento.

Trieste, Gorizia, Monfalcone e Muggia riconoscono il valore del 25 Aprile come celebrazione nazionale della Liberazione dal nazifascimo, ma hanno istituito inoltre la ricorrenza del 12 giugno.

In aggiunta e non in contrapposizione.

Per ricordare che dopo la terribile presenza nazista nelle forme della Zona di Operazione Litorale Adriatico ci sono stati i quaranta giorni di terrore comunista titino.

Per ricordare il giorno in cui chi era italiano ha potuto manifestarlo senza temere per la propria vita coì come chi era sloveno era libero di esprimersi nella propria lingua.

Per ricordare che una risoluzione del Parlamento europeo ha equiparato i crimini del comunismo a quelli del nazismo ed il nostro territorio ha sperimentato entrambi.

Per ricordare che il Presidente Mattarella ed il Presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor si sono tenuti per mano in silenzio davanti al Monumento nazionale della foiba di Basovizza, nella quale proprio in quei quaranta giorni di occupazione si consumarono esecuzioni sommarie ed eccidi.

Per ricordare che grazie a quella vera liberazione oggi noi possiamo dire

Viva la libertà

Viva la democrazia

Viva Trieste italiana

Everest Bertoli
Assessore comunale al Bilancio e Programmazione finanziaria, Tributi, Project Financing, Porto Vecchio, Controllo di Gestione 

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