«Signore sommo Iddio tu che dai e togli la vita sia fatta la tua volontà. Prima della battaglia noi, Arditi d’Italia siamo inginocchiati al tuo cospetto per chiederti perdono delle nostre miserie terrene. Fa’ che le nostre armi fermino chi profana il sacro suolo della Patria (…)».
Le parole della Preghiera dell’Ardito, risalenti al 1916, hanno rieccheggiato questa domenica, 31 luglio, a due passi dalle vigne di Capriva, nel piccolo piazzale dell’Ara dedicata al corpo degli incursori della Prima guerra mondiale.
Una cerimonia, quella in occasione dei 105 anni di fondazione del reparto e del secolo di vita della Federazione Nazionale Arditi d’Italia, che si è svolta senza momenti di tensione, dopo essere stata preceduta nei giorni scorsi da diverse polemiche – leggasi il ritiro del patrocinio alle celebrazioni da parte del Comune isontino e quello parziale di Manzano – e atti di vandalismo contro i monumenti dedicati ai caduti nelle località.
*Oltre un centinaio i presenti*, principalmente dal Veneto ma anche da Emilia Romagna, Piemonte, persino Liguria e Toscana. Meno folta la rappresentanza locale. Uniche amministrazioni comunali presenti con labaro e fascia tricolore, quelle di Moriago e Sernaglia della Battaglia, nel trevigiano.
Foltissima la rappresentanza di associazioni combattentistiche e d’arma: bersaglieri – presenti anche con la Fanfara di San Donà di Piave – paracadutisti, alpini, lagunari. Il simbolo degli Arditi – un teschio con il pugnale fra i denti – spunta dalle t-shirt nere che spopolano fra i presenti, personalizzate con diversi slogan: “O Fiume o morte”, “Il Piave mormorò”, “Bombe a man e carezze col pugnal”.
L’atmosfera si fa solenne con l’alzabandiera e l’ingresso schierato di labari, gonfaloni e medagliere nazionale degli Arditi e dei Bersaglieri. Due uomini in assetto da combattimento e pugnale in bella vista depongono la corona in onore dei caduti. Quindi la messa celebrata dal sacerdote gradese don Gianni Medeot, lagunare pure lui: «Gli Arditi sono andati consapevolmente incontro al loro destino, per il bene dell’Italia, per una società più libera e più giusta, perché i figli potessero crescere in maniera serena. Cerimonie come queste potrebbero essere viste in maniera non positiva, ma dobbiamo guardare oltre. E sapere andare incontro anche a chi ci è ostile». Massimiliano Ursini, presidente nazionale della Fnai, nella sua orazione evita ogni riferimento o polemica con le amministrazioni che hanno ritirato il patrocinio. Certo non può trattenersi sui vandalismi che hanno preceduto le cerimonie: «Ha colpito la solita mano talebana, la stessa che nega o sminuisce la vicenda delle foibe. Non capiscono che la nostra reazione è inversamente proporzionale a ciò che subiamo: più ci colpiscono, più terremo alte le bandiere tricolori. Quest’Ara era in pessime condizioni e l’abbiamo tramutata in un gioiellino, perché da qui è partita una storia gloriosa. Una fiamma di amor patrio che trasmetteremo ai nostri figli e nipoti e che nessun fango potrà mai soffocare».
Marco Silvestri
Fonte: Il Piccolo – 01/08/2022
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