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Chi partì, chi restò: l’abbraccio a Pola (Avvenire 12 ago)

ISTRIA IL RITORNO

 

Chi partì, chi restò: l`abbraccio a Pola

La «riconciliazione» 65 anni dopo l`esodo

 

DAL NOSTRO INVIATO A POLA

(ISTRIA, CROAZIA)

 

LUCIA BELLASPIGA

 

Un evento storico». Una «prima volta assoluta». Così la stampa in Croazia ha definito il ritorno a Pola di centinaia di esuli istriani, partiti decenni fa all`ingresso delle truppe di Tito, e tornati a radunarsi nella loro città per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale.

«Epocale» anche l`incontro con la comunità degli altri istriani, quelli allora rimasti nelle loro case e diventati, spesso forzatamente, jugoslavi.

Un evento di “riconciliazione” che parrebbe tutto italiano, dunque, ma che a pochi mesi dall`ingresso della Croazia in Europa assume i contorni di una grande prova generale. Se, infatti, di giornata storica parla in prima pagina La Voce del popolo, l`unico giornale di Pola in lingua italiana, lo stesso tono rimbalza sui quotidiani di lingua croata, un po` sorpresi dal successo dell`invasione pacifica: un “controesodo” fino a pochi mesi fa inimmaginabile, non a caso avvenuto tra il viaggio del Papa in Croazia e la visita del presidente Napolitano, atteso a Pola il prossimo 3 settembre. E una storia che parte da lontano quella che oggi riconduce “a casa” i polesani, accompagnati da figli e nipoti nati nella diaspora. I più anziani ricordano bene la struggente serata estiva di 65 anni fa. È il 15 agosto del

1946 quando la popolazione, nel dare ufficialmente il suo addio alla città, gremisce l`Arena romana illuminata a giorno, simbolo delle loro radici millenarie, e intona il “Va` pensiero” in un tripudio di tricolori.

Il dramma si consumerà poco dopo, dal gennaio del 1947, quando i polesani, per restare italiani, partono in massa verso l`altra sponda dell`Adriatico, ma anche verso continenti lontani. In soli due mesi Pola si svuota e di oltre 30 mila abitanti ne restano duemila. I “rimasti”, appunto, come verranno chiamati.

Pola, come Fiume, Zara e centinaia di altre cittadine piccole e grandi di Venezia Giulia e Dalmazia, vedono partire, fagotto in spalla, un popolo disperato ma dignitoso, in totale 350 mila italiani che – solo loro – pagano

 

la sconfitta bellica dell`intera Italia fascista. «La gente arrotola i materassi

– scrisse padre Flaminio Rocchi, uno dei tanti sacerdoti che guidarono la gente verso la salvezza schioda i quadri, i lampadari, le porte e gli infissi delle finestre. Nelle case i colpi di martello battono sui cassoni come su bare…». I pochi che rimangono nella Jugoslavia comunista lo fanno per scelta ideologica, a volte, più spesso per necessità: a causa di un genitore troppo anziano da condurre via ma anche da lasciare solo, o per non perdere i risparmi di una vita intera. Gli istriani si dividono così in due anime, “esodati” e “rimasti”, mentre gli jugoslavi irrompono a Pola, si appropriano delle stanze ancora calde di vita, e in poche ore cambiano il volto etnico della città. La vita è durissima per gli esuli, ma non è tenera nemmeno con i rimasti, e le due anime di Pola sono sempre più distanti: i primi tacciati di fascismo, i secondi di comunismo, una ferita aperta fino allo storico raduno dei giorni scorsi, culminato in un`intensa Messa in italiano.

«Nella luce della fede, attinta alla tradizione cristiana dei nostri padri, assume particolare significato questo nostro ritrovarci insieme – ha detto il vescovo emerito di Trieste, Eugenio Ravignani, concelebrando insieme al parroco di Pola, monsignor Desiderio Staver, in un Duomo affollato dalle due comunità riunite -. Siamo qui per rendere più stretto il vincolo d`amore che ci lega a questa città, a quanti ancora in essa vivono, e a tutti coloro che dovunque, come memoria sacra, custodiscono il ricordo dei giorni felici qui vissuti e di quelli della grande sofferenza, quando abbiamo dovuto lasciare Pola». Concetti forti, pronunciati senza remore, che nelle parole del vescovo “esule” e in quelle del parroco “rimasto” gettano un ponte significativo verso un`Europa sempre più allargata e superano il passato senza dimenticarlo. Ancora più significativo suona il rimando al vescovo croato di Pola e Parenzo, Ivan Milovan, «alla cui amabile bontà devo la gioia di celebrare oggi questa Eucarestia insieme a voi». In chiesa, una accanto all`altra, le autorità locali della Pola oggi chiamata Pula e quelle della città esule. «Molto tempo è passato dal 1946, ma certo non è cambiato il vostro attaccamento a questa città e all`Istria- ha parlato dall`altare il console italiano Renato Cianfarani, giunto da Roma pochi mesi fa-. Allo stesso tempo molto è cambiato da allora, i nazionalismi non sono ancora morti ma si sono attenuati, le ideologie si stanno spegnendo, siamo tutti fratelli e sorelle. Non è stato facile per voi, lo capisco, ma siamo più vicini alla tolleranza: questa terra presto entrerà in Europa e io vi ringrazio per aver oggi contribuito in modo significativo ad abbattere le frontiere». Nel Duomo di Pola è risuonato di nuovo il “Va` pensiero”, cantato da nonni, figli e nipoti giunti dall`Italia o da sempre rimasti in Istria. Fuori, per le strade di Croazia, le nuove generazioni affamate di democrazia ed Europa festeggiavano i vent`anni dalla liberazione, con il dissolvimento del regime e del partito unico.

La stessa atmosfera si è respirata i giorni scorsi sulla stampa croata, con “Glas Istre” (La voce dell`Istria) che prima del raduno mostrava qualche nervosismo («Sebbene gli esuli ancora pochi anni fa fossero considerati provocatori, la politica attuale li guarda con favore…») e qualche ansia («La polizia non si aspetta provocazioni»), ma a evento finito titolava con un taglio nettamente diverso («Dobbiamo educare i giovani verso un`Istria quale comune terra d`origine») e ammetteva che «da parte nostra occorre superare stereotipi storici e gettar via tutto ciò che puzza di nazionalismo».

«È emblematico questo arrivo di profughi a Pola proprio nel momento in cui Me ha aperto le porte alla Croazia. Poi saremo tutti senza confini», ha ricordato Boris Miletic, sindaco croato dell`odierna Pula. Lo stesso saluto pronunciato da Silvio Mazzaroli, direttore dell`Arena di Pola”, il giornale degli esuli nel mondo, al congedo finale, quando dal gruppo dei “rimasti” si è sentito il grido «Tornate a Pola»: «Cercheremo – ha promesso – ma se no vi aspettiamo al di là del mare. Ormai saremo tutti soltanto polesani».

 

(courtesy MLH)

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