Il Dignanese è ricco di chiese, sia urbane che rurali. Quando parliamo di Dignanese, pensiamo al comprensorio della Città e quindi andrebbe fatto un inventario degli edifici di culto nell’area di Dignano, di Gallesano e di Peroi. Una missione immane! Sul territorio vi sono vestigia di basiliche paleocristiane (e ci permettiamo di suggerire una camminata a Gurano e a Barbariga alla ricerca delle vecchie tracce) e poi l’architettura ha una sua interessante e importante continuità. Nell’area di Dignano è registrata la presenza di oltre sessanta chiese (sempre tra urbane e rurali); una ventina le chiese in quel di Gallesano, oltre cinque a Peroi. Che lettura strabiliante! Come il migliore dei libri, uno che dovesse presentarle tutte offrirebbe molteplici chiavi di lettura: vi si potrebbe leggere la storia della cristianità, dell’architettura, dell’arte, sociale e anche economica. Molto modestamente, ci siamo lasciati attirare dalle chiese principali delle località maggiori del Dignanese, senza aspirazioni di scientificità, ma unicamente per invitare i lettori alla scoperta del territorio e invogliarli a scrivere da soli (raccogliendo dati di cui le fonti sono generose) quell’ipotetico libro sull’architettura e arte sacra di questa zona.
Seguiteci (se vi va) a guardare S. Biagio (Dignano), S. Rocco (Gallesano) e S. Spiridione (Peroi). In un piccolo pezzo di terra dove s’incontrano occidente e oriente.
San Biagio, gli occhi puntati su Dignano
La chiesa più grande e il campanile più alto. Il metro di paragone è l’Istria. La chiesa a tre navate, intitolata a S. Biagio, ha 55 metri di lunghezza e 36 di larghezza. Raggiunge il suo punto massimo di 25 metri di altezza con la cupola centrale. Per la costruzione di questo imponente edificio di culto fu presa a modella la chiesa palladiana di S. Pietro in Castello di Venezia. La chiesa dignanese venne consacrata nel 1808. Sulla sua facciata troneggiano le statue di cinque Santi: Biagio (al centro, in posizione più elevata, ma è comprensibile, essendo il… padrone di casa), Lorenzo, Pietro, Paolo e Quirino.
L’attuale duomo sorge sui resti di una chiesa medievale del XIV secolo, orientata a est e con il campanile poggiato sul lato destro della facciata. Il sagrato venne usato come cimitero e infatti alcune ricerche relativamente recenti hanno portato alla luce resti di sepolture, medagliette e altri reperti. Nel XV e XVI secolo la chiesa subì rimaneggiamenti che le fecero perdere l’aspetto originario. Nel XVIII secolo cominciò a palesare l’usura del tempo e nel 1757 crollò il tetto.
L’11 gennaio 1757, durante una visitazione canonica, il vescovo G. A. Balbi interdisse la chiesa. Seguirono tre anni di discussioni e tentativi di sanare l’edificio, ma non si risolse nulla, per cui si decise di demolire l’edificio e di erigere una chiesa nuova. Ogni progetto deve essere accompagnato da una proiezione finanziaria: per la nuova chiesa servivano 13.000 ducati d’oro. Il 12 agosto 1760 il Senato della Serenissima disse sì al progetto e sei mesi dopo, il 15 febbraio 1761 venne posta la prima pietra. Le Confraternite parteciparono all’edificazione con i propri risparmi e per 10 anni la popolazione accantonò il 20 p.c. sui prodotti e per altri 10 il 10 p.c. sul vino e sull’olio. Diversamente dall’edificio sui cui resti poggia, orientato a est, come detto, il duomo di San Biagio è orientato in direzione nord-sud. Per dare spazio alla chiesa vennero sacrificati il preesistente cimitero, l’ospizio francescano e la vecchia scuola. Della direzione dei lavori venne incaricato Domenico Dongetti, “protto muraro” giunto a Dignano da Pirano nel 1777. La chiesa ha nove altari (fatti in marmo di Verona, Carrara e Francia) del XIX e XX secolo e uno conciliare, rivolto verso i fedeli. Sulle pareti reca tredici dipinti del XVI, XVII e XVIII secolo. Il tabernacolo, elegante, murato nel transetto è del 1451. La chiesa ospita una pregevolissima Collezione di arte sacra, con dipinti, reliquari, reliquie e Corpi santi.
Sull’altare fanno bella mostra due angeli (116) di Francesco Terilli da Feltre, nel coro un dipinto di G. Contarini (Ultima cena; 1598). Ci preme citare, tra i reperti della Collezione (giunti a Dignano con il pittore veronese Gaetano Grezler) una tavola trecentesca con i miracoli del beato Leone Bembo.
E veniamo al campanile, alto ben 60 metri. La sua costruzione ebbe inizio nel 1815 su progetto di Antonio Porta di Trieste. L’opera si concluse appena nel 1815. Nella sua architettura ricorda quello di San Marco di Venezia. Durante la Prima guerra mondiale fu privato delle campane per necessità belliche. Nel 1923 ne vennero fatte delle nuove. La Seconda guerra mondiale castigò anche queste: nel 1942 vennero tolte, ma si crede non siano state fuse (per la cronaca, pesavano 2.400 chilogrammi). In effetti, delle tre campane, una (di 1.845 kg) rimase in uso. Nel 2010 vennero issate in cima al campanile due campane nuove di zecca, una di 1.080 kg, l’altra di 780.
Gallesano protetta da San Rocco
La chiesa parrocchiale di Gallesano è intitolata a S. Rocco. Eretta nel 1613, ha subito interventi di restauro e quindi venne riconsacrata nel 1879 dal vescovo Glavina.
Alla chiesa si accede salendo cinque gradini. All’entrata, nell’angolo a sinistra, si trova la fonte battesimale e a destra una bella acquasantiera in pietra. L’entrata è sovrastata da un balcone in legno, che ospita un organo del XIX secolo, purtroppo non più funzionante. La chiesa ha una navata e ai lati di questa, un po’ rialzati, si trovano due altari per parte, di bella fattura; a sinistra uno dedicato a Sant’Antonio, in pietra e marmo, eretto nel 1715, l’altro dedicato alla Madonna, in pietra, marmo e legno. A destra trovano posto l’altare Croce (in pietra e legno) e uno in pietra con una pala d’altare del 1693. L’altare maggiore, marmoreo, è intitolato a San Rocco ed è abbellito da due statue a loro volta marmoree raffiguranti i Santi Pietro e Paolo. Al centro della parete absidale, entro una nicchia, si trova la statua del titolare della chiesa, San Rocco. Il soffitto dell’abside ospita entro una pittura circolare, i quattro evangelisti. Più recente (datata agli anni cinquanta del XX secolo) la pittura sul soffitto della navata: raffigura Gesù e tre Apostoli che guardano Gallesano, e poco più avanti alcune greggi vanno verso la Basilica di San Pietro in Roma. Il tutto è sovrastato da una croce. Nel 1874, l’allora parroco di Gallesano, don Giacomo Giachin, scriveva sulla chiesa: “La nuova Chiesa parrocchiale fu consacrata nell’anno 1634 addì 23. Ottobre dall’Illustrissimo, e Reverendissimo Monsignore Giulio Saraceno Vescovo di Pola”.
Infine, il campanile, oggetto di un capillare restauro nei mesi scorsi, resosi necessario per i seri cedimenti strutturali che avevano addirittura messo a tacere le campane, per evitare vibrazioni che sarebbero potute risultare deleterie. Risalente al XVII secolo, ha la facciata rivolta a sud e pianta quadrangolare. È segnato cinque, di lato 5 m, ed è alto 36 m. Presenta cinque marcapiani “a toro” e copertura a cuspide con torre ottagonale, costruita nel 1867. Quattro pinnacoli agli angoli della torre alleggeriscono la struttura. La porta d’accesso è sovrastata da uno stemma episcopale pure in pietra, probabilmente del Vescovo di Pola Giulio Saraceno. Si presume che lo stemma rechi l’emblema nobiliare della famiglia Saraceno: su piani paralleli obliqui è posto un animale rampante, dal petto alla coda leone, e la testa coperta da una maschera. Il tutto è sovrastato dalla mitra episcopale. Sull’ultimo piano, il campanile ospita l’orologio con numeri romani. La torre campanaria reca belle bifore romaniche.
S. Spiridione, sorta «per pietà e religione»
Datata al 1834, la chiesa ortodossa intitolata a S. Spiridione, con accanto il campanile dai caratteri orientali, è certamente l’elemento essenziale della carta d’identità del luogo. All’interno, il presbiterio e l’altare sono divisi dal resto dall’iconostasi, una stupenda parete in legno del XVI-XVII secolo con tre porte d’accesso all’altare e recante figure di santi della liturgia greca. Sulla facciata della chiesa (purtroppo un po’ nascosta da due alberi) campeggia una lapide recante l’iscrizione, in cirillico e in italiano. Riportiamo la scritta in italiano: “La pietà e la religione questo tempio di S. Spiridione fece erigere. Anno 1834”. I Montenegrini, lo ricordiamo, sono giunti a Peroi nel 1657 e la chiesa è quasi di due secoli più tarda. Come mai? Dapprincipio ai Perolesi non fu permesso costruire una loro chiesa, bensì venne loro concessa quella greco-ortodossa di San Nicola a Pola. Poi, nel 1788 giunse il permesso della Serenissima di costruire un proprio edificio di culto.
Accanto alla chiesa si erge il campanile, alto 25 metri, segnato con quattro marcapiani e con cupola a lobi. Venne eretto nel 1860, come indicato dalla data che sovrasta la porta d’entrata. Una curiosità: lo sapevate che le campane sono state donate ai Perolesi nel 1925-26 dalla principessa Elena del Montenegro?
Ancora, accanto al campanile, nel 1880 è stata fatta erigere un’altra cappella ortodossa.
La chiesa è abbellita da icone di pregevole fattura. Impossibile citarle tutte, ma ci preme ricordare quelle raffiguranti la Madre di Dio con il Bambino (tempera su tavola della fine del XV secolo di un pittore cretese, purtroppo in condizioni precarie, S. Nicola (pittore cretese, XVI secolo), l’Anastasis (pittore cretese, prima metà XVI secolo), la Madre di Dio Odighitria (pittore cretese, XVI secolo), la Deesis (pittore ignoto, XVIII secolo), Santi Spiridione, Nicola e Giorgio…
Ma chi era il titolare della chiesa? S. Spiridione di Trimitonte (270 circa – 12 dicembre 348) fu vescovo di Trimitonte (Tremithus), oggi Tremetousia, nell’isola di Cipro. È venerato sia come santo dalla Chiesa cattolica sia di quella ortodossa.
Nato in una famiglia cristiana ad Assia (Cipro), fu pastore di bestiame. Dopo la morte della moglie si dedicò alla religione. Fu nominato vescovo di Assia; durante la persecuzione dei cristiani sotto l’imperatore Massimiano, fu arrestato ed esiliato.
Stando alla tradizione, nel 325 partecipò al Primo Concilio di Nicea, ma la sua presenza non è documentata. Sempre tradizione vuole che sia stato sepolto nel tempio dei Santi Apostoli in Tremitunte.
Dopo la conquista di Cipro da parte dell’Impero ottomano, la sua tomba venne aperta e le reliquie portate a Costantinopoli. Le fonti sostengono che il suo corpo era incorrotto e profumava di basilico, il che era considerato una prova della sua santità. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, il sacerdote Giorgios Kalochairetis trasportò le reliquie a Corfù, a quel tempo appartenente alla Repubblica di Venezia. Il 4 dicembre 1577 le autorità veneziane concessero un terreno per costruirvi il tempio in onore del santo e quindi nel 1589 le reliquie furono trasferite al tempio di nuova costruzione, che le ospita tuttora, a Kérkyra, la capitale dell’isola.
Carla Rotta
Fonte: La Voce del Popolo – 05/05/2024